Alle opere teatrali di Dario Fo e Franca Rame viene generalmente attribuito un preciso tratto distintivo. Il teatro dei due drammaturghi viene diffusamente definito “politico”, sia dagli estimatori delle loro opere, che ne apprezzano proprio la connotazione politica, sia da chi, nel tempo, ha assunto delle posizioni critiche nei confronti dei loro testi, sostenendo come il teatro debba essere una forma di intrattenimento scevra da forme di propaganda politica o ideologica. In verità, secondo il parere di chi scrive, le due posizioni contengono un errore sostanziale, in quanto il teatro ha sempre, intrinsecamente, una connotazione politica, che prescinde dalle ideologie degli autori e dalla loro eventuale esplicitazione nell’opera.
Anche Franca Rame criticava la definizione di “teatro politico”, riferita a un genere distinto rispetto al teatro privo di tale prerogativa. Per la drammaturga, infatti, anche ogni scelta assunta quotidianamente da ciascuno di noi può definirsi politica. Anche al supermercato, preferire di acquistare un prodotto, invece di un altro, ha delle ripercussioni politiche, sociali, culturali ed economiche. Dunque il teatro e, in generale, ogni forma di arte e tutto ciò che comporti delle scelte è conseguentemente “politico”. Fo e Rame preferivano definire il loro un “teatro d’inchiesta” (o «teatro-cronaca», come riporta Maria Teresa Pizza), focalizzato stabilmente sull’attualità e sui fatti di cronaca a cui essi si accostavano con il metodo dell’indagine, seguendo in tempo reale l’evoluzione delle vicende che divenivano oggetto delle loro opere. La scrittura era preceduta da un accurato studio di processi e verbali e dall’ascolto dei testimoni. Abbastanza spesso Fo e Rame, al termine dei loro approfondimenti, giungevano a conclusioni ben diverse da quelle delle indagini ufficiali che, secondo loro, erano spesso imposte da poteri occulti e dunque difformi dalla realtà dei fatti.
Il teatro di Fo e Rame è dunque incentrato sull’investigazione come metodo e ha lo scopo fondamentale di trovare la verità, come espressione fondamentale della cultura popolare. Durante quel periodo storico ricordato come “anni di piombo” per i numerosi e violenti episodi di terrorismo che lo caratterizzarono tristemente, Fo e Rame, attraverso il loro teatro, manifestarono un impegno sempre contraddistinto da un attivismo pacifico che li rese protagonisti del dibattito politico dell’epoca. Nel 1972, ad esempio, Franca Rame fondò l’organizzazione Soccorso Rosso, per difendere i diritti dei prigionieri politici e garantire loro un sostegno economico.
Il vasto patrimonio di appunti, copioni, manoscritti, dattiloscritti, disegni che è presente al MusALab, il Museo Archivio Laboratorio Franca Rame Dario Fo, presso l’Archivio di Stato di Verona, consente di ricostruire alcuni momenti della vita personale ed artistica dei due autori, in particolare, proprio riguardo agli “anni di piombo”, durante i quali Fo e Rame, con la messa in scena di opere ispirate a fatti di attualità, si opposero a ogni tentativo di depistaggio, a ogni verità di comodo che, secondo loro, alcuni esponenti delle istituzioni avevano cercato di anteporre alla realtà dei fatti. Il loro teatro ha anche il merito di aver contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica, coinvolgendola e rendendola partecipe di fatti che segnarono profondamente la società del tempo.
Fo e Rame, pur narrando fatti luttuosi, continuarono ad utilizzare sempre gli strumenti della farsa e della commedia: il grottesco, il surreale, il paradosso che, come ebbe modo di spiegare Fo, non mancavano di rispetto alle vittime dei tragici eventi dell’epoca, ma, al contrario, erano un mezzo per favorire il risveglio delle coscienze, la sensibilizzazione e il coinvolgimento emotivo del loro pubblico. Gli strumenti che caratterizzano la tragedia, tradizionalmente ritenuti consoni alla narrazione di eventi dolorosi, avevano per Fo una grave controindicazione, inaccettabile moralmente, ovvero quella di favorire la catarsi, la purificazione dai mali, la pacificazione e, in ultimo, il disinteresse da parte degli spettatori e dell’opinione pubblica verso le tragedie che si avvicendavano senza fine.
Uno degli episodi più drammatici, accaduti tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, che fu per Fo e Rame una grande fonte di ispirazione, è stato la strage di Piazza Fontana: il 12 dicembre 1969 all’interno di una filiale di Milano della Banca Nazionale dell’Agricoltura esplose una bomba al tritolo che provocò la morte di diciassette persone e il ferimento di molte altre. Durante le indagini avviate dagli inquirenti per individuare i responsabili della strage, accadde un grave episodio presso la Questura di Milano: l’anarchico Giuseppe Pinelli, posto in stato di fermo per essere sottoposto ad accertamenti in merito ad eventuali responsabilità dell’attentato, precipitò da una finestra.
Fo e Rame misero in scena degli spettacoli ispirati a quegli eventi luttuosi, i cui testi venivano costantemente aggiornati, in base alle fonti raccolte e alle vere e proprie indagini svolte dai due autori, che procedevano parallelamente alle indagini istituzionali.
Tra tutti ricordiamo, incentrato proprio sulla misteriosa morte di Giuseppe Pinelli presso la Questura di Milano, Morte accidentale di un anarchico (1970). Lo spettacolo, caratterizzato dall’utilizzo esasperato della farsa e del grottesco, ricostruisce le ore che seguirono la morte di Pinelli. Il protagonista è un matto, affetto da istrionismo, che getta nello scompiglio l’intera Questura di Milano, presso la quale si trova per subire un interrogatorio. L’uomo scatena una serie di equivoci, assumendo identità diverse, tra cui quella di un funzionario del Ministero, riuscendo, in conclusione, a far affiorare le molteplici zone d’ombra dei verbali ufficiali riguardanti la morte misteriosa di un anarchico, precipitato durante un interrogatorio. In una prima stesura del testo, anche il matto, alla fine dello spettacolo, cadeva da una finestra in circostanze poco chiare.
È importante evidenziare il ruolo fondamentale del matto: un personaggio che, grazie alla propria insensatezza e alla mancanza di controllo, riesce a districare la rete di menzogne e di ambiguità, creata dagli esponenti del potere, facendo emergere, infine, la verità. Il caos portato in scena fin dall’inizio, all’interno della Questura dal personaggio del matto ha lo scopo di porre in essere una pars destruens delle strategie criminali in atto, ponendo le premesse di una successiva pars costruens, basata sulla sincera volontà di accertare i fatti e ricostruire l’accaduto, attribuendo, infine, a ciascuno le rispettive responsabilità. Il matto è, dunque, a tutti gli effetti, un contemporaneo giullare che si prende gioco dei potenti, mostrandone, senza remore, debolezze e falsità.
Morte accidentale di un anarchico, come altri testi teatrali realizzati in particolare in quel contesto storico da Fo e Rame, costituiscono la riprova che nei due autori convivevano, senza soluzione di continuità, in una simbiosi inscindibile, un’anima creativa e un incessante ed appassionato attivismo politico e sociale.
Alessio Arena, Nero accidentale. Il teatro d’inchiesta di Dario Fo e Franca Rame, Palermo University Press, Palermo 2020.
Alessio Arena, Scene del crimine anni Settanta. L’Italia in tempesta nel teatro di Dario Fo e Franca Rame, in “EuroStudium”, Università di Roma “La Sapienza”, gennaio-giugno 2021.
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