Vip morti nel 2022, elenco completo: ultimo Shonka Dukureh

2022-07-23 05:17:08 By : Mr. JACK XUAN

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Quali sono i Vip morti nel 2022? Chi sono i cantanti morti nel 2022? Chi sono i registi morti nel 2022? Chi sono gli attori morti nel 2022?

Anche per il 2022 aggiornerà la lista su quali sono le persone famose morte nel corrente anno. Per quelle decedute nel 2021, che non ha risparmiato, tra le altre, personalità come Lina Wertmuller, Milva o Franco Battiato rimando all’apposito articolo.

Il primo Vip morto nel 2022 è l’imprenditore Calisto Tanzi, noto per il crac Parmalat ma anche per i successi sportivi col Parma.

Vediamo quali sono i Vip morti nel 2022. Ultimo Shonka Dukureh.

Il primo gennaio il rapper americano dal nome d’arte J $tash, ha ucciso la sua ragazza nella casa in California. Poi ha puntato la pistola contro se stesso mentre i tre figli piccoli erano vicini, nella stanza accanto. La polizia è arrivata immediatamente nella casa di Tample City, un sobborgo di Los Angeles, dopo aver risposto a una chiamata per violenza domestica intorno alle 19 nel giorno di Capodanno. Hanno trovato i corpi di Jeanette Gallegos, 28 anni, e J Stash, il cui nome legale è Justin Joseph. Gli inquirenti hanno spiegato che la coppia stava litigando prima che il rapper originario della Florida portasse la sua ragazza in camera da letto e chiudesse la porta alle loro spalle. A dare l’allarme sono stati proprio i tre figli di Jeanette, di 7, 9 e 11 anni. Erano davanti alla porta della stanza e continuavano a bussare, preoccupati dalle condizioni della loro mamma. Così hanno chiamato la nonna, poi è partita la telefonata al 911.

Il 16 gennaio è morta la pianista e vocalist della rock band “The Detroit Cobras” Rachel Nagy. Si è spenta all’età di 37 anni. Il debutto dei Detroit Cobras è avvenuto a metà anni ’90 e precisamente nel 1994. Nel 1998 è stato pubblicato il loro primo album dal titolo “Mink, Rat or Rapid”. Nel 2001 è uscito il loro secondo album “Life, Love and Living”. L’etichetta Third Man Records ha ristampato i primi due album nel 2016.

Il 17 gennaio è morta a 57 anni la cantante ceca Hanka Horká, morta a causa delle complicanze da Covid. La musicista, membro del gruppo folk Asonance, era una convinta no vax, e si era contagiata volontariamente per non dover sottoporsi al vaccino. «L’avete uccisa voi», scrive il figlio Jan Rek sui social, accusando i no vax. Solo pochi giorni fa Hanka aveva raccontato di essersi infettata con la variante Delta perché avrebbe potuto così tornare a vivere senza limitazioni, invitando i suoi fan a seguire il suo esempio. Il 13 gennaio Hanka aveva scritto di aver superato la malattia. Il 16 gennaio però le condizioni sono peggiorate, fino a portarla alla morte. Gli Asonance, sono una band folk nata nel 1975 a Praga. La cantante faceva parte del gruppo dal 1985.

Il 21 gennaio è morto il cantante e attore Meat Loaf. Aveva 74 anni. Durante la sua carriera ha attraversato sei decenni che lo hanno visto vendere oltre 100 milioni di album in tutto il mondo e recitare in oltre 65 film, tra cui “Fight Club”, “The Rocky Horror Picture Show” e “Fusi di testa”. Nato a Dallas il 27 settembre 1947 con il nome Marvin Lee Aday, nonostante alcuni inconvenienti (tra cui la bancarotta) raggiunse un successo notevole con la sua carriera di musicista e cantante, soprattutto grazie all’album “Bat Out of Hell”, uno dei più venduti della storia del rock. Il disco ebbe inoltre due fortunati seguiti: “Bat Out of Hell II: Back into Hell” e “Bat Out of Hell III: The Monster Is Loose”. Ha vinto un Grammy, per la miglior performance vocale, per il brano “I’d Do Anything for Love (But I Won’t Do That)”. Oltre che per la sua carriera musicale, Meat Loaf si è fatto notare anche come attore. A partire dal duplice ruolo di Eddie e del dottor Scott nel “Rocky Horror Show”, interpretato nella prima edizione americana al Roxy Theatre di Los Angels. Avrebbe poi ripreso il ruolo del solo Eddie nel film del 1975: come nipote del Dottor Scott (e primo “esperimento” dello scienziato Frank N’ Furter), si faceva notare cantando “Hot Patootie/Bless My Soul”. E’ stato poi il padre di Jack Black in “Tenacious D e il destino del rock”, ma nel suo curriculum ci sono anche “Fight Club” accanto a Edward Norton e Brad Pitt, “Fusi di testa”, “Pazzi in Alabama” diretto da Antonio Banderas e tra le altre cose, anche a un episodio della serie americana “Master of horror” (era un pellicciaio nell’episodio diretto da Dario Argento).

Il 29 gennaio il cantautore argentino Diego Verdaguer è morto a causa di “complicanze legate al Covid19″. Aveva 71 anni. L’artista autore di diversi successi come “Corazon de papel“, “Yo te amo” e “Volvere“, che hanno venduto quasi 50 milioni di copie, aveva 70 anni. A dare la notizia la sua casa discografica, la Diam Music. Verdaguer, naturalizzato messicano-argentino, era spostato con la cantante Amanda Miguel. “Con assoluta tristezza, mi dispiace informare i suoi fan e amici che oggi mio padre ha lasciato il suo bel corpo per continuare il suo percorso e la sua creatività in un’altra forma di vita eterna”, ha detto sua figlia Ana Victoria. “Mia madre, io e tutta la famiglia siamo immersi in questo dolore, quindi apprezziamo la tua comprensione in questi tempi difficili”, ha continuato. Verdaguer ha contratto il Covid a dicembre ed è stato ricoverato in ospedale. Secondo quanto detto dalla sua addetta stampa in Messico, Claudia Lopez Ibarra, sentita dall’Ap, il cantautore era stato vaccinato ed è stato contagiato “negli Stati Uniti quando era presente la variante Delta”. Verdaguer viaggiava spesso negli Usa soprattutto dopo la nascita del nipote che vive a Los Angeles. Nato a Buenos Aires il 26 aprile 1951, il debutto da solista avviene a soli 17 anni con il singolo “Lejos del amor”. Al primo successo ne sono seguiti altri, come “Yo te amo” e “Volvere”. Si trasferisce in Messico nel 1980, terra a cui è particolarmente legato e alla quale dedica più album tra cui il suo “Mexicano hasta las Pampas”, nominato per due Latin Grammy. Nel 2019 è stato premiato dalla Società messicana degli autori e dei compositori con un premio speciale per i suoi 50 anni di carriera.

Il 10 febbraio è morta Betty Davis, la regina dimenticata del funk. Aveva 77 anni e da tempo aveva abbandonato le scene. Secondo quanto scrive la rivista Rolling Stone, la morte è avvenuta per cause naturali. All’anagrafe Betty Mabry, era nota anche per essere stata la seconda moglie di Miles Davis, oltre che per essere considerata “la donna che inventò la fusion”, un genere musicale che combina elementi di jazz, rock e funk. Originaria della Carolina del Nord e modella di professione, la Davis cominciò a fare musica negli Anni 60 con il nome di nascita Betty Mabry. Anche se la maggior parte del suo catalogo musicale fu registrato durante un periodo di poco più di dieci anni, tra il 1964 e 1975, la sua influenza fu significativa anche negli anni successivi. Alla fine degli Anni 60 divenne una figura prominente nel panorama musicale di New York e scrisse anche il brano dei Chambers Brothers, “Uptown (to Harlem) and”. Nel 1968 sposò Miles Davis e anche se il matrimonio durò solo un anno, nella sua autobiografia il trombettista statunitense affermò che la Mabry contribuì significativamente nelle sue successive esplorazioni musicali. Fu lei infatti che lo introdusse al chitarrista di rock psichedelico Jimi Hendrix e all’artista funk Sly Stone.

Il 17 febbraio Fausto Cigliano è morto a 85 anni e con lui se ne va un altro pezzo della Napoli che fu, uno straordinario artista della canzone partenopea, uno degli ultimi grandi cantori e maestri della nostra tradizione musicale. Da tempo ammalato, nell’ultimo periodo si era aggravato per un problema renale fino a spegnersi all’ospedale Gemelli ieri notte. Cresciuto artisticamente avendo come punto di riferimento il cantato recitato del maestro Roberto Murolo, la Tv di Stato lo notò a 17 anni. Debuttò al Festival di Napoli nel 1957 facendo il riepilogo delle canzoni in gara. Di bella presenza, alto, elegante, il cinema ci mise poco ad accorgersi di lui, così come anche la televisione. Nel 1959 conquistò il gradino più alto del podio del Festival di Napoli, in coppia con Teddy Reno, presentando il brano «Sarra’ chi sa», scritto proprio dal maestro Murolo con Renato Forlani. Cinque anni dopo, nel 1964 bissò il tutto, portò alla ribalta a Sanremo, con «E se domani», di Carlo Alberto Rossi e Giorgio Calabrese, canzone resa immortale poi grazie anche all’interpretazione di Mina. Ma non arrivò neanche in finale. Condivise per molti anni l’amore per la musica e per la chitarra con un altro maestro come Mario Gangi. Cigliano è stato autore di canzoni come “Ossessione ‘70”, “Napule mia”, “Ventata nova”, “Scena muta” La sua discografia conta tantissimi 45 giri e album. 7 sono stati i film che lo hanno visto coinvolto: “Guardia, ladro e cameriera”, “Classe di ferro”, “Ragazzi della Marina”, “La duchessa di Santa Lucia”, “Cerasella”, “Destinazione Sanremo”, “Passione”. Da oggi, la città della Sirena Partenope avrà un’altra illustre voce in meno.

Il 21 febbraio è morta Jane “Nightbirde” Marczewski, la star di AGT, la versione americana di Italia’s Got Talent, è morta all’età di 31 anni dopo una difficile battaglia contro il tumore. La cantante è deceduta nella giornata di domenica. A nulla sono valse le cure a cui si sottoponeva ormai da tempo: il tumore aveva già raggiunto polmoni, colonna vertebrale e fegato. La star dell’Ohio era una delle favorite a “AGT”, prima di ritirarsi dalla competizione lo scorso Agosto per sottoporsi alle cure.

Il 31 marzo, Tom Parker, componente della band britannico-irlandese The Wanted, è morto a soli 33 anni per un cancro al cervello. Nell’ultimo anno il ragazzo aveva tenuto con il fiato sospeso i suoi fan e i media inglesi con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, fino al triste annuncio di ieri, dato sui social dalla moglie Kelsey Hardwick. Tom Parker era arrivato al successo nei primi anni 2010 con la sua band, i The Wanted, idoli delle ragazzine, che si erano formati sotto la guida della manager Jayne Collins, la stessa che aveva portato al successo le Saturdays. Tom, con i suoi compagni Max George, Jay McGuiness, Nathan Sykes e Siva Kaneswaran, aveva scalato le vette delle classifiche con brani come All Time Low e Gold Forever. La band, attiva ancora oggi, aveva iniziato nei mesi scorsi un tour, al quale Tom Parker non ha potuto partecipare a causa delle sue condizioni di salute. La sua apparizione, in una delle date, seduto sul palco circondato dagli altri membri del gruppo, aveva emozionato i fan. Quella è stata la sua ultima apparizione pubblica. Nonostante la sua giovanissima età, Tom era già diventato papà due volte: nel 2019 era nata Aurelia, e nel 2020 Bodhi Thomas. Proprio il piccolo Bodhi aveva riportato un po’ di speranza nella sua vita, visto che la coppia aveva scoperto di aspettare il secondo figlio proprio poche settimane dopo la drammatica diagnosi. Nell’ottobre 2020, a pochi giorni dalla nascita del suo secondo figlio, Tom Parker aveva deciso di annunciare pubblicamente la sua malattia: si trattava di glioblastoma, al quarto stadio, una forma molto aggressiva di tumore al cervello. Tom però non ha mai perso il sorriso, grazie ai figli e alla moglie, Kelsey Hardwick, che le è stata sempre accanto. Ha condiviso attimi di gioia e di speranza sui social grazie ai suoi post, e la sua storia ha commosso il pubblico britannico, che aveva conosciuto quel ragazzo così gentile e talentuoso sul palco di X Factor prima, e con la sua band, The Wanted, dopo. In un primo momento le speranze di sopravvivere sembravano in crescita, il tumore si stava riducendo notevolmente, ma poi le condizioni di Tom sono peggiorate rapidamente, fino alla sua morte, il 30 marzo.

Il 22 aprile Marco Occhetti, in arte Kim, cantante ed ex voce dei Cugini di Campagna dal 1986 al 1994. Ad annunciare la morte dell’artista, che aveva 62 anni, è stata la figlia Giulia su Facebook. Dalle prime informazioni sembra che Occhetti sia deceduto a causa di un arresto cardiaco che non gli ha lasciato scampo nella serata di venerdì 22 aprile 2022. Nato a Roma il 24 dicembre 1959, Occhetti era stato la voce del gruppo I Cugini di Campagna dal 1986 al 1994, dopo aver preso il posto del cantante Paul Manners. Iconica la sua voce in falsetto che aveva fatto le fortune della band, col quartetto portato al successo anche grazie alla caratteristica del cantante romano. Storica è la sua interpretazione in “Anima Mia“, brano che ancora oggi è cantato a squarciagola dai fan e non solo ogni volta che viene passato in radio e tutte le volte che viene ascoltata in eventi o feste. Ma nel gruppo Kim è stato di certo il più sfortunato tra i Cugini, in quanto decise di lasciare il gruppo poco prima del revival innescato da Fabio Fazio che scaturì poi nell’omonimo programma cult con Claudio Baglioni andato in onda su Rai 2 nel 1997. Il suo posto all’interno della band, dal 1994 ad oggi, è stato preso da Nick Luciani che lo ha sostituito anche col falsetto che da sempre fa la storia de I Cugini di Campagna in giro per l’Italia e nel mondo.

Il 24 aprile il cantautore belga Arno è morto all’età di 72 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro. Nato nella città costiera fiamminga di Ostenda il 21 maggio 1949, Arno ha iniziato con il gruppo TC Matic negli anni ’80. Ma fu come solista che raggiunse un pubblico più vasto, grazie a canzoni come “Les yeux de ma mere”. “È un cantante e un poeta immenso, il monumento nazionale belga. E un monumento dell’Europa”, ha detto Boris Vedel, direttore del festival musicale Printemps de Bourges. A febbraio, con il suo solito vestito di scena nero, Arno è stato ricevuto al Palazzo Reale di Bruxelles dal re Philippe, che lo ha definito “un’icona della scena belga”.

Il 10 maggio è morto Richard Benson, aveva 67 anni. Anche Carlo Verdone gli ha dedicato un post su Facebook, avendo partecipato con un cameo nel film Maledetto il giorno che ti ho incontrato. Di origine britannica ma naturalizzato italiano, ha segnato la musica underground romana degli Anni 70. Era un volto noto anche di programmi tv. E’ scomparso dopo aver lottato contro una malattia. Figura storica delle emittenti private romane, è diventato prima popolare nell’ambiente romano e poi la sua fama si è allargata alla televisione e al web. Famosi sono i suoi spettacoli in cui nei è vittima di insulti e lanci di oggetti sul palco.

Il 15 maggio è morto Lil Keed, rapper di Atlanta di 24 anni. Il giovane sarebbe stato affetto da una grave forma di insufficienza renale acuta. La sua carriera era partita dal basso. Lil Keed aveva lavorato per un breve periodo da McDonald’s infine i primi passi che lo hanno portato a firmare il contratto discografico di Young Thug e con la 300 Entertainment.

Il primo luglio il mondo della musica piange la scomparsa di Irene Fargo, grande cantante e indiscussa protagonista della scena italiana negli anni ’90. Molto amata dal pubblico, aveva avuto una carriera brillante che l’aveva portata persino ad un passo dalla vittoria al Festival di Sanremo. Poi l’improvviso silenzio: per molto tempo era rimasta lontana dalle luci dei riflettori. Solo grazie all’amore delle sue figlie era riuscita a riscattarsi da un periodo particolarmente difficile, tornando alla sua più grande passione, quella per la musica. Irene Fargo si è spenta all’età di 59 anni. Nata nel 1962, Irene Fargo (il cui vero nome era Flavia Pozzaglio) aveva iniziato a cantare giovanissima in un coro, per poi debuttare sul palco del Festival di Castrocaro, facendosi conoscere e apprezzare dal pubblico. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, dopo aver conosciuto Enzo Miceli, aveva assunto il suo pseudonimo e aveva iniziato a riscuotere grande successo, soprattutto con il suo 45 giri d’esordio. Irene aveva partecipato per due volte al Festival di Sanremo, entrambe nella categoria Nuove Proposte: la prima, nel 1991, con la canzone La donna di Ibsen che le aveva fatto raggiungere il secondo posto, quindi l’anno seguente con il brano Come una Turandot, replicando il successo con un’altra seconda posizione in classifica. Ai risultati ottenuti sul palco dell’Ariston si sono susseguiti singoli bellissimi che l’avevano fatta entrare nel cuore del pubblico. Ed è sempre in quel periodo che la Fargo aveva deciso di provare anche la carriera teatrale, partecipando a numerosi musical. Se sul finire degli anni ’90 era ancora sulla cresta dell’onda, improvvisamente Irene Fargo era scomparsa dalle scene. Per un po’ di lei non si era più saputo nulla, fin quando non ebbe il coraggio di lasciarsi alle spalle quello che era stato il suo momento più difficile. Raccontandosi in televisione, ospite di Chi l’ha visto? e di Pomeriggio 5, aveva rivelato di aver attraversato un momento particolarmente duro, dal quale si era risollevata tornando sulle scene. Grazie all’amore delle figlie, era tornata a volersi bene e aveva deciso di tornare a lavorare. Il destino le aveva dato una seconda possibilità: si era riscattata tornando sulle scene e collaborando con grandi artisti come Gigi D’Alessio, Lucio Dalla e Renato Zero.

Il 3 luglio è morto Antonio Cripezzi, detto Tonino, cantante e tastierista dei Camaleonti, storico gruppo del italiano, è stato trovato morto in una stanza di albergo di San Giovanni Teatino (Chieti). Il decesso, secondo le prime informazioni, sarebbe dovuto a cause naturali: un malore, nella notte, non gli avrebbe lasciato scampo. Sul posto, lanciato l’allarme, sono intervenuti i soccorritori ed i Carabinieri. Cripezzi, 76 anni, in passato aveva già avuto problemi di salute. Ieri sera si era esibito con i Camaleonti al parco Villa de Riseis di Pescara. Dopo l’esibizione una cena con lo staff e alcuni fan e poi il rientro in hotel. Di famiglia originaria di Palazzo San Gervasio nel potentino, Cripezzi è il pianista dei Camaleonti fin dalla sua fondazione, nel 1963; diventa uno dei due cantanti principali (l’altro è Livio Macchia) nel 1966, quando Riki Maiocchi lascia la formazione. Nell’arco della lunga storia del complesso, oltre a cantare, Tonino a volte ha anche suonato il violino e i synth in «simbiosi» con Massimo Brunetti. Ha composto le musiche di molte canzoni del repertorio della band, come Amico di ieri, amico perduto, Pensa, Dove curva il fiume, Gimcana e altre. Nel 1993 ha partecipato alla registrazione dell’album Esco dal mio corpo e ho molta paura (Gli inediti 1979-1986) di Elio e le Storie Tese, cantando la canzone (Gomito a gomito con l’)Aborto.

Il 7 luglio Adam Wade, cantante e attore apparso in film come Shaft, Crazy Joe e Claudine prima di passare alla storia come conduttore di giochi, è morto. Nel 1961, Wade ha avuto tre primi 10 successi nella Billboard 100. Aveva 87 anni. Secondo The Hollywood Reporter, la moglie di Wade, la cantante Jeree Wade, ha detto che è morto giovedì nella sua casa di Montclair, nel New Jersey, a seguito di una lotta con il morbo di Parkinson. Quando il cantante di Pittsburgh ottenne il successo nel 1961 con le canzoni d’amore “Take Good Care of Her”, che raggiunse la posizione n. 7 (la canzone fu poi interpretata da Elvis Presley), “The Writing on the Wall” (n. 5) e “Come se non lo sapessi”, è stato paragonato a Johnny Mathis (n. 10). Wade in un’intervista del 2014 ha detto “stava cercando di imitare Nat King Cole, il mio idolo d’infanzia, non Johnny Mathis. Quindi immagino che questo ti dica quanto fossero buone le mie capacità di imitazione. ” Con le Musical Chairs di Don Kirshner, Wade ha fatto la storia come la prima persona di colore a ospitare un game show in rete nel giugno 1975. Lo spettacolo, che è stato girato all’Ed Sullivan Theatre di New York, ha visto i concorrenti che inventavano i titoli e i testi delle canzoni giusti con l’aiuto di artisti tra cui The Spinners, Sister Sledge e Irene Cara. Wade ha affermato che un affiliato della CBS in Alabama ha rifiutato di mandare in onda Musical Chairs perché era il presentatore e che prima della cancellazione dello spettacolo in ottobre, nonostante la sua popolarità, i produttori hanno ricevuto molte lettere di odio. “Sono sicuro che [loro] mi hanno nascosto alcune lettere”, ha detto Wade, “quindi non mi arrabbierei. Uno che ho visto è stato quello di un ragazzo che ha usato tutti i tipi di imprecazioni, dicendo che non voleva che sua moglie sedesse a casa a guardare il ragazzo di colore che distribuiva i soldi e l’intelligenza”. Patrick Henry Wade, nato il 17 marzo 1935, si è laureato alla Westinghouse High School di Pittsburgh nel 1952. Si è laureato in scienze alla Virginia State University e ha lavorato come assistente di laboratorio per il dottor Jonas Salk, che negli anni ’50 ha creato il vaccino contro la poliomielite . Verso la fine del 1959, Wade ottenne un contratto discografico con la Coed Records e le sue canzoni “Ruby”, una copia della sigla di Ruby Gentry del 1952, e “Tell Her for Me” raggiunsero rapidamente la vetta delle classifiche. Dopo Musical Chairs, ha ripreso a registrare e nel 2002 è stato sostituto di Ben Vereen in I’m Not Rappaport a Broadway. Si è esibito anche in molti spettacoli teatrali locali. Wade e Jeree si sono sposati nel 1989 dopo essersi incontrati sul set di Musical Chairs. Hanno condiviso spesso il palco insieme, anche quando ha scritto e diretto la commedia On Kentucky Avenue, come riportato da The Hollywood Reporter. I sopravvissuti includono anche i suoi figli, Ramel, Patrice, Jamel e Latoya, e diversi nipoti e pronipoti.

Il 19 febbraio è morto Piergiorgio Galli. Non ha fatto in tempo a pubblicare l’ultimo lavoro del gruppo “I Maghi” di cui era chitarrista. Un enfisema polmonare, causato dal Covid-19, lo ha portato via all’età di 66 anni, dopo dieci giorni sospesi tra la vita e la morte nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Chieti. Il produttore discografico, titolare della Galli Records, era molto conosciuto a livello locale e nazionale. Con la sua etichetta, in passato aveva collaborato con artisti come Alex Britti, Fiordaliso, Luca Argentero, I Camaleonti. Aveva lanciato giovani talenti e organizzato festival canori tra cui il Grif, svoltosi a Pescara nel 2009 e nel 2010. Nel 2018 l’imprenditore aveva riunito 40 artisti abruzzesi per registrare il singolo “Dove la neve non cade”, scritto dal figlio Federico per ricordare le vittime di Rigopiano e devolvere il ricavato delle vendite al Comitato delle loro famiglie. I capelli lunghi fino alle spalle e il look curato contraddistinguevano l’immagine del discografico, una persona educata e discreta, amata da tutti a Francavilla al Mare dove risiedeva insieme alla moglie Laura, dopo molti anni trascorsi nella casa-studio situata nelle campagne di Miglianico, storico ritrovo di artisti.

Il 26 marzo è morto Taylor Hawkins, batterista dei Foo Fighters per 25 dei 28 anni di attività della band. Aveva 50 anni. Il musicista è stato ritrovato senza vita in una stanza d’albergo a Bogotà, dove si trovava per tenere un concerto con il gruppo al Festival Estéreo Picnic. Il tour sarebbe poi dovuto continuare domenica 27, al Lollapalooza Brasil. Il batterista, che ha fatto parte del gruppo fin dai primi anni di attività, era molto legato a Dave Grohl, che considerava come un fratello. Il suo estro e la sua personalità lo avevano conquistato fin da subito, tanto riservargli un posto speciale nel suo libro, The Storyteller. Nato a Fort Worth, in Texas, nel 1972, Taylor Hawkins è cresciuto a Laguna Beach, in California. La sua passione per la musica è esplosa da subito, fin da quando era giovanissimo. Ha debuttato come batterista nella band Sylvia, con Sass Jordan come cantante, per poi diventare uno dei musicisti di Alanis Morrisette prima che Dave Grohl lo notasse e gli chiedesse di entrare nel gruppo dopo il distacco da William Goldsmith, batterista agli esordi dei “Foo”. In qualche occasione, ha anche posato le bacchette per prestare la voce, le basi di chitarra e di pianoforte in diverse registrazioni del gruppo. Taylor Hawkins lascia la moglie Alison, sposata nel 2005, e tre figli: Oliver, Annabelle ed Everleigh.

Il primo aprile è morta Mira Calix, all’anagrafe Chantal Passamonte. Non si conoscono molti dettagli in merito al suo decesso, ma dovrebbe essere deceduta in Inghilterra. E’ qui, infatti, che si era trasferita lasciando la sua amata Africa, terra di nascita. Mira aveva soltanto 52 anni e aveva firmato un contratto molto importante con la Warp Records. La casa discografica, saputo della sua scomparsa, ha scritto un lungo comunicato di cordoglio.

Il 19 aprile il pianista Radu Lupu, uno dei più grandi musicisti al mondo, è deceduto all’età di 76 anni a Losanna, in Svizzera. La notizia relativa alla scomparsa dell’uomo è stata diramata dagli organizzatori del Festival George Enescu di Bucarestche hanno scritto su Facebook il seguente messaggio: “Siamo profondamente rattristati nell’apprendere della morte del maestro Radu Lupu, un caro amico del Festival Enescu e un magnifico musicista”. Secondo quanto riferito dai media, il pianista si è spento a Losanna dopo aver sofferto di una lunga malattia. Nel corso della sua carriera, Lupu ha vinto il concorso pianistico internazionale George Enescu nel 1967, a distanza di nove anni dall’istituzione del prestigioso festival che era stato dedicato al compositore rumeno George Enescu. Il pianista è stato ricordato dal violoncellista britannico Steven Isserlis che ha scritto su Twitter: “Uno dei musicisti più grandi che abbia mai ascoltato ma anche un uomo profondamente gentile, modesto e divertente e, soprattutto, un amico meraviglioso”. Radu Lupu era nato a Galati, in Romania, il 30 novembre 1945 e aveva iniziato a suonare il pianoforte a sei anni con Lia Busuioceanu. Ha debuttato a 12 anni con un programma di sue composizioni e ha continuato gli studi con Florica Muzicescu e Cella Delavranca. Nel 1961, ha vinto una borsa di studio per il Conservatorio di Mosca. Tra i riconoscimenti ottenuti, Lupu ha vinto il premio Van Cliburn nel 1966 e il premio Leed nel 1969. Nel 2006, ha vinto un Grammy per la registrazione di sonate per pianoforte di Schubert. Inoltre, era molto apprezzato nel riprodurre repertori di compositori come Robert Schumann, Franz Schubert, Johannes Brahms, Wolfang Amadeus Mozarte Ludwig van Beethoven. Ha lavorato con alcune delle migliori orchestre e dei più importanti compositori del mondo come Herbert von Karajan, Zubin Mehta e Carlo Maria Giulini. Nella stagione 2018-2019, infine, Radu Lupu ha deciso di ritirarsi dalle esibizioni pubbliche per motivi di salute.

Il 27 aprile il musicista e compositore tedesco Klaus Schulze, leggendario pioniere della musica elettronica, è morto all’età di 74 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato, con un comunicato, dal figlio Max Maximilian Schulze e Frank Uhle, manager della casa discografica Spv Schallplatten, precisando che il decesso è avvenuto martedì sera dopo una lunga malattia “ma improvvisamente e inaspettatamente”. Nato a Berlino il 4 agosto 1947, Klaus Schulze è stato uno dei musicisti più famosi nello stile Krautrock, ovvero forme musicali sulla base del rock progressivo e musica elettronica. È stato anche membro fondatore del gruppo Ash Ra Tempel. Dal 1972 al 2013 ha pubblicato ben 40 album da solista. Il primo album da solista che ha rilasciato si intitola “Irrlicht” ed è considerato uno dei capolavori della musica cosmica tedesca e uno dei più importanti della sua discografia. Il musicista è stato co-fondatore della cosiddetta Scuola di Berlino e come influente rappresentante del Krautrock riconosciuto a livello internazionale: molti dei grandi dj internazionali lo chiamavano rispettosamente “Padrino della Techno”. Klaus Schulze, che ha militato nei Tangerine Dream oltre ad aver collaborato con diversi artisti, tra cui Lisa Gerrard, Steve Winwood, Michael Shrieve e Hans Zimmer (anche per la colonna sonora del recentissimo “Dune”), di recente aveva annunciato l’uscita del suo nuovo album solista “Deus Arrakis” per il prossimo 10 giugno.

Il 18 maggio è morta la soprano di origine argentina Silvia Baleani, moglie del direttore d’orchestra Donato Renzetti, da alcuni mesi direttore musicale del Macerata Opera Festival. E’ la stessa manifestazione a renderlo noto. Silvia Baleani aveva studiato presso l’Instituto Superior de Arte del Teatro Colon di Buenos Aires dove aveva debuttato nel 1964; negli anni ’70 aveva attuato sui maggiori palcoscenici di tutta Europa, dal Covent Garden (Faust 1974) a Vienna, da Parigi a Lyon sino alla Scala di Milano (Boris Godunov 1980 e Il re pastore). Dopo aver conosciuto il direttore d’orchestra Donato Renzetti in occasione delle rappresentazioni de Il signor Bruschino di Rossini a Bologna nel 1977, a cui rimase legata tutta la vita, la sua carriera si sviluppò soprattutto nei maggiori teatri italiani dal Teatro Regio di Torino alla Fenice di Venezia, dal Comunale di Bologna, al Massimo di Palermo. Interprete raffinata e curiosa – aggiunge Pinamonti – dotata di una voce dal colore molto bello, ci restano della sua attività le numerose registrazioni discografiche anche di repertori meno usuali e, in chi l’ha conosciuta, il ricordo della gentilezza, della dolcezza e dell’enorme generosità del tratto”. L’Associazione Arena Sferisterio si stringe accanto a Donato Renzetti nel ricordo della moglie che, tra l’altro, era stata sul palcoscenico maceratese nel 1994, come Musetta nella Bohème di Giacomo Puccini. Aveva 80 anni.

Il 19 maggio il compositore greco Vangelis, nome d’arte di Vangelis Papathanassiou – autore di colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema, da ‘Momenti di gloria’ a ‘Blade Runner’ e ‘Missing – Scomprso’ – è morto all’età di 79 anni. La notizia della morte è arrivata dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis che ha espresso su Facebook il cordoglio dell’intero Paese.

Il 19 maggio Guido Lembo è morto all’età di 75 anni dopo aver lottato contro un brutto male. Noto al grande pubblico con il cappello caprese, che indossava di tutti i colori, e la sua chitarra ha scritto la storia dello spettacolo a Capri. La malattia che aveva Guido Lembo era un cancro precisamente un Linfoma Mantellare che dal 2015 lo teneva periodicamente lontano dall’isola azzurra per le sedute di chemio terapia. Del tumore lo stesso patron dell’Anema e Core ne ha parlato nella sua autobiografia “Tutto cominciò così” raccontando come si accorse di essere malato tramite un’intuizione di sua moglie, che noto un nodulo sul collo. In quel libro il cantante caprese ha parlato anche del suo rapporto con i Vip da Mike Tyson e Domenico Modugno. Guido Lembo nasce a Capri il 13 novembre del 1947. Di pari passo con i suoi studi coltiva la sua grande passione per la musica e a soli 16 anni parte direzione Londra. Inizia a suonare e cantare il repertorio della canzone napoletana e non solo in un ristorante italiano per poi girare il mondo fino a diventare grande protagonista della movida di Palm Beach. Realizza il suo sogno, innovare il modo di fare intrattenimento a Capri dove torna con 7 anni di esperienza. Prima suona alla Capannina di Forte dei Marmi e nei locali del jet set italiano, poi nel 1994 fonda l’Anema e Core nella sua Isola d’origine. Chi non conosce la Taverna più famosa al mondo? Nel locale di Guido Lembo hanno cantato e ballato sui tavoli Vip del calibro di Jennifer Lopez, Mike Tyson, Domenico Modugno solo per citarne alcuni. Lembo negli anni 90 è stato volto noto di diversi programmi tv come il Maurizio Costanzo Show, Buona Domenica e numerose interviste a la Vita in diretta. Guido Lembo lascia sua moglie Anna e due figli Marianna di 50 anni di età e Gianluigi di 45 anni che già da tempo aveva preso in mano le redini dell’Anema e Core.

Il 26 maggio è morto Andrew Fletcher, tastierista dei Depeche Mode. Il musicista, che aveva fondato la band assieme a Vince Clarke (che se n’era andato pochi anni dopo), aveva 60 anni. A darne notizia è stato lo stesso gruppo inglese, formato da Dave Gahan e Martin Gore. Con i Depeche Mode, Fletcher ha preso la musica elettronica all’inizio degli anni Ottanta e l’ha fatta crescere fino a diventare un fenomeno da grandi stadi e arene stracolme di pubblico per i loro concerti. Andy, come lo chiamavano i suoi compagni della band, era nato a Nottingham e si era trasferito a Basildon, dove la band si formò, quando aveva due anni. “Da ragazzo c’erano campi da calcio, da cricket, ma poi tutto è andato storto economicamente e quando le fabbriche chiusero negli anni Settanta divenne una città violenta” ha raccontato Fletcher. I primi successi arrivano nell’81, Andy ha vent’anni e si è già avviato verso un lavoro “serio”, da assicuratore. Per questo ha anche abbandonato la facoltà di scienze politiche: “I miei colleghi non hanno preso sul serio il mio gruppo fino a quando Dreaming of Me non è entrato in classifica, seguito a ruota da New Life. Stavo facendo in televisione Top of the Pops, tenevo concerti a Leeds, poi però il giorno dopo dovevo indossare giacca e cravatta e vendere polizze. Era diventato tutto troppo imbarazzante”. Quarant’anni dopo, nonostante il successo ottenuto in tutto il mondo dalla band, Fletcher era rimasto fino all’ultimo il ragazzo semplice di quei primi giorni a Baseldon: “La mia vita privata lontano dalla musica è semplice e ordinaria”, ha raccontato. “Se esco vado a giocare a biliardo o a calcio, oppure a bere una birra con gli amici. Appena posso vado a vedere il Chelsea giocare. Sono molto patriottico, molto filo-britannico. So che alcune persone pensano che sia sbagliato, ma io non posso farne a meno”. Sposato con Grainne, Fletcher viveva a Londra. Lascia una figlia, Megan, nata nel 1991, e un figlio, Joseph, nato nel 1994.

Il 5 giugno è morta la cantante Laura Grey, al secolo Vincenzina Agrillo. Aveva 81 anni. Napoletana di Afragola, classe 1941, era nota per le sue partecipazioni al Festival di Napoli ed in tempi recenti anche a The Voice Senior, dove aveva cantato con Gigi D’Alessio. Nata il 24 marzo del 1941 ad Afragola, in provincia di Napoli, Vincenzina Agrillo prese il nome d’arte di Laura Grey (in onore a Dorian Grey, l’attrice che interpretò la “Malafemmina” nell’omonimo film di Totò, anch’esso un nome d’arte della bolzanina Maria Luisa Mangini), nonché quello di “Cinzia”, con il quale partecipò fin da giovanissima a diversi festival musicali. Nel 1955, a soli 14 anni, vinse il Festival Flegreo con ‘o Lanzaturo, mentre l’anno dopo partecipò al celebre “Festival dei Festival” organizzato dallo storico presentatore Corrado. Nel 1968 e nel 1969 partecipò al Festival di Napoli, e ormai divenuta cantante famosa era conosciuta in tutta Italia per le sue canzoni del repertorio classico napoletano: nel 1975 riportò in auge il brano “Comme facette mammeta”, che fece faville. Partecipò anche nel ruolo di Concetta Esposito nel film “Onore e guapparia” di Tiziano Luongo: ed è in questa occasione che nasce il soprannome di Laura Grey, in onore alla già citata Maria Luisa Mangini. Poi però torna alla sua grande passione della musica: l’ultimo album è del 2004. Poi, dopo un periodo di pausa e lontana dai riflettori, nel 2020 tornò sul piccolo schermo partecipando a The Voice Senior, dove venne scelta nella squadra di Gigi D’Alessio arrivando fino ai Round Six prima di essere eliminata. Da tempo viveva nel quartiere napoletano di Bagnoli, dove si è spenta oggi pomeriggio.

Il 5 giugno è morto bassista Alec John Such, membro fondatore dei Bon Jovi, è morto all’età di 70 anni. Come membro fondatore dei Bon Jovi, è stato parte integrante della formazione della band. Ad essere onesti, abbiamo trovato la nostra strada l’uno per l’altro attraverso di lui. Era un amico d’infanzia di Tico Torres e ha portato Richie Sambora a vederci esibire. Alec è sempre stato selvaggio e pieno di vita. Ora questi ricordi speciali mi portano un sorriso sul viso e una lacrima agli occhi. Ci mancherà moltissimo”. Fondati nel 1983, John Such è rimasto nei Bon Jovi fino al 1994. È stato sostituito dal bassista Hugh McDonald, diventato membro ufficiale della band nel 2016.

Il 9 giugno è morto Dario Parisini, storico chitarrista bolognese dei Disciplinatha: la sua lunga carriera lo ha visto non solo far parte della scena rock italiana, ma anche del grande cinema. Se n’è andato all’età di appena 56 anni, sconfitto da una malattia che stava combattendo da tempo. Classe 1966, Dario Parisini è nato a Bologna e già in giovane età ha dato prova di una grande sensibilità artistica. Ha mosso i suoi primi passi come attore accanto ad uno dei volti più amati del cinema italiano: il suo esordio, datato 1984, lo ha infatti visto tra i protagonisti di Noi tre, film diretto da Pupi Avati. E con il grande regista ha avuto modo di collaborare ancora, dapprima in Impiegati e successivamente in Festa di Laurea. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, Dario ha lavorato molto davanti alle telecamere, approdando anche in televisione in alcuni episodi della fiction La Piovra. Il suo ultimo contributo al cinema italiano risale però al 1994, con il film Anime fiammeggianti, che gli ha permesso di affiancare attori del calibro di Elena Sofia Ricci e Alessandro Haber. Nel frattempo, Parisini si è dedicato all’altra sua grande passione: la musica. È nel 1987 che, assieme ad alcuni suoi amici, ha fondato la band rock Disciplinatha, fattasi ben presto largo nel panorama bolognese e non solo. Ma questa non è stata la sua unica esperienza in ambito musicale: dopo lo scioglimento del gruppo (che in seguito è tornato per un revival che ha fatto sognare tutti i fan), Dario ha dato vita ai Massimo Volume e ai Post Contemporary Corporation. Negli ultimi anni, Dario Parisini è tornato a lavorare accanto ai suoi storici colleghi di Disciplinatha: assieme a Cristiano Santini e Marco Maiani ha fondato i Dish-Is-Nein, che ha riscosso sin da subito grande successo. Ma per lui ha avuto ben presto inizio un’altra sfida, quella più difficile. Lottando contro la malattia, Dario ha tirato fuori il suo spirito battagliero che lo ha sempre accompagnato. Ma stavolta non ce l’ha fatta e il 9 giugno si è spento, ricoverato presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, a non molta distanza dai luoghi in cui ha trascorso tutta la sua vita.

Il 19 aprile il chitarrista e compositore Alvaro Company, discepolo di Andrés Segovia e, per la composizione, di Luigi Dallapiccola, tra i massimi esponenti della ‘Schola Fiorentina’, si e’ spento ieri nella sua casa fiorentina. A darne notizia, in una nota, il Conservatorio Cherubini. “Un grande maestro che nella sua doppia vocazione di chitarrista, compositore e docente al Conservatorio Cherubini di Firenze, membro della ‘Schola Fiorentina’ ispirata a Luigi Dallapiccola, sviluppò in una Firenze coraggiosa e lungimirante, si spiega, un importante percorso didattico e compositivo di ricerca sulla chitarra e sulla musica contemporanea. Fiorentino, di origine catalane, nacque a Firenze il 25 giugno 1931. Dal 1960, Company ha iniziato il suo percorso didattico al ‘Cherubini’. Ha creato la cattedra di chitarra classica di cui è stato titolare per quasi quarant’anni e tra gli altri ha composto ‘Las seis cuerdas’, ispirato a una poesia di García Lorca. Ha ideato una metodologia esecutiva rivolta agli strumentisti in genere, cui ha dato il nome di ‘Biodinamica musicale’. Nel 1991 una commissione composta da Abbado, Accardo, Gavazzeni, Giulini, Muti, Pollini, oltre che dai massimi critici italiani, e presieduta da Petrassi, gli ha conferito il ‘Premio Massimo Mila’ “per l’esemplare impegno didattico di una vita”. Nel ’96 al Primo Convegno Nazionale Chitarristico a Pesaro gli è stato attribuito il ‘Premio Didattica per Chitarra’ e nel ’99, in occasione del IV Convegno Nazionale Chitarristico ad Alessandria, gli è stata assegnata la ‘Chitarra d’oro’ per la composizione.

Il 22 giugno è morto Patrick Adams, autore, produttore e arrangiatore. Una leggenda per gli appassionati della musica afroamericana, in particolare per gli amanti dei suoni più ritmati e melodici dell’epoca disco. Nato a New York nel 1950 – aveva da poco compiuto i 72 anni – Adams fu ai comandi di decine di produzioni che hanno fatto ballare generazioni di appassionati. Il suo periodo migliore sono stati gli anni ’70, quando si affermò come uno dei produttori più validi e gettonati della Costa Est. Dopo un inizio di carriera da musicista, con la band newyorkese degli Sparks, Adams si trasferì dietro la console. Ci sono la sua abilità, le sue idee e il suo talento alla base di successi di gruppi e singoli come Sister Sledge, Loleatta Holloway, Eddie Kendricks, Gladys Knight, Ace Spectrum, Black Ivory – band per cui lavorò anche come manager – Four Below Zero, Cloud One, Daybreak e centinaia di altri. Una cifra dice tutto: su Discogs, portale-mercato online di musica da collezione, sono segnalati 1.446 dischi a cui Adams ha messo mano. Negli anni ’80, al tramonto della disco, Adams seppe offrire i suoi servizi anche a big e talenti impegnati a scrivere nuovi capitoli nell’enorme libro della musica afroamericana, come Keith Sweat, fra i pionieri del new jack swing, e Salt-N-Pepa e Eric B & Rakim, stelle della prima ondata rap. Adams ha ricevuto diversi premi e nel 2017 è stato omaggiato con un’esibizione-tributo andata in scena nella sua New York, dove faceva base con la sua casa di produzione Papmus.

Il 7 gennaio è morto a 94 anni Sidney Poitier, leggenda di Hollywood che ha spianato la strada a tantissimi attori afroamericani. E’ stato il primo afroamericano a vincere l’Oscar come migliore attore protagonista. Tra i suoi film più celebri “I gigli del campo”, “Indovina chi viene a cena” e “La calda notte dell’ispettore Tibbs”. Figlio di contadini di un’isoletta delle Bahamas, a 16 anni era stato spedito dai genitori a Miami e poi a New York. Era nato nato su una barca in mezzo al mare mentre i suoi genitori portavano i pomodori a vendere al mercato. Dopo la solita trafila di umili lavori, piccola delinquenza ed un breve arruolamento nell’esercito americano, tenta la strada del teatro e va in scena a Broadway con una Lisistrata realizzata da una compagnia di soli neri. Nel suo film d’esordio, ‘Uomo bianco tu vivrai’ di Mankiewicz (’49), ha la parte di un medico ingiustamente accusato dai razzisti di aver lasciato morire un suo amico. Longilineo, elegante, dai lineamenti sottili, Poitier e’ il classico nero che piace ai bianchi benpensanti, in qualche modo simile a loro, integrato, acculturato e addomesticato, anche se fieramente determinato a far valer i suoi diritti su un piano di completa uguaglianza. E’ forse anche per questa sua caratteristica che diventa l’emblema di una causa antirazzista combattuta da non violento con le armi del dialogo e della civilta’ (tra i suoi punti di riferimento ci sono Gandhi e Nelson Mandela). In ‘Indovina chi viene a cena?’ (’67) e ‘La calda notte dell’ ispettore Tibbs’, i suoi maggiori successi, si trova di fronte a due diverse forme di razzismo: la prima, molto educatamente controllata, e’ rappresentata dalla coppia Spencer Tracy-Katharine Hepburn, genitori progressisti che si vedono arrivare a cena, con grande sorpresa, il fidanzato di colore della figlia; la seconda e’ invece incarnata dal truce sceriffo Rod Steiger con cui Poitier, ispettore di polizia, dovrebbe collaborare su un caso di omicidio. Dopo il successo planetario di quest’ultimo film, Poitier sarà chiamato a interpretare lo stesso personaggio in due sequel. Anche se la sua notorieta’ è principalmente legata ai tantissimi ruoli di attore, Poitier e’ stato anche regista di una decina di film tra cui ‘Hanky Panky – Fuga per due’, una commedia mascherata da thriller con Gene Wilder. Credente, progressista ma mai rivoluzionario, il nero di Hollywood estremamente determinato nonostante le sue buone maniere ha spianato la strada del cinema americano a tutti gli attori di colore che si sono affermati dopo di lui.

Il 10 gennaio è morto a 65 anni l’attore, comico e conduttore televisivo Bob Saget, molto noto negli Stati Uniti – e meno conosciuto in Italia – principalmente per la serie televisiva Full House, andata in onda tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta anche su Rai Uno e Italia Uno con il titolo di Padri in prestito e Gli amici di papà. Nella serie, Saget interpretava uno dei protagonisti, il papà single Danny Tanner. Saget è stato trovato morto in una camera dell’hotel Ritz-Carlton di Orlando, in Florida, dalla polizia locale, intervenuta su segnalazione del personale dell’albergo che non riceveva risposte alle chiamate in camera. Sul corpo di Saget non sono stati trovati segni di violenza e la polizia ha escluso l’abuso di droghe. Oltre a Full House, Saget era stato anche la voce narrante della serie televisiva How I Met Your Mother e il conduttore del programma America’s Funniest Home Videos. Solo ieri Saget si era esibito in uno show di stand up comedy a Jacksonville.Conosciuto per il suo umorismo sarcastico, ha ottenuto una nomination ai Grammy con That’s What I’m Talkin’ About del 2014 come miglior album comico. Ha dedicato la sua commedia speciale della HBO del 2007, That Ain’t Right, a suo padre, Ben Saget, morto mesi prima per un problema cardiaco.

Mark Forest, diventato famoso negli anni ’60 per aver interpretato i ruoli di Maciste ed Ercole in film di genere ‘peplum’. Aveva 89 anni.

IL 10 gennaio è morto Mark Forest, fu Ercole e Maciste in film genere peplum©. Aveva 89 anni. Nato a Brooklyn nel 1933 ma di origini italiane, Forest, il cui vero nome era Lou Degni, iniziò a praticare bodybuilding a 13 anni. Fu un talent scout di Hollywood a notare il suo fisico dopo aver visto una foto e lo invitò ad un provino a Hollywood per il ruolo di Tarzan. Non ottenne la parte, ma divenne parte del team di Mae West, attrice e sex symbol americana, per il suo show di Las Vegas. In quegli anni partecipò a diverse gare di sollevamento pesi vincendo anche il titolo di “Mr. Muscle Beach” in California. Dopo il successo mondiale de Le fatiche di Ercole (1958), divenne il secondo attore americano ad essere ingaggiato da produttori italiani. Fu scritturato per tre pellicole, mentre ‘La vendetta di Ercole’ (1960), diventato ‘Goliath and the Dragon’ negli Stati Uniti, fu il suo primo film per il mercato americano. Negli anni successivi Forest continuò con il genere peplum, interpretando diversi ruoli di Maciste. Alla fine lasciò il cinema per diventare cantante d’opera. Tra le sue ultime attività, anche quella di voice

Il 19 gennaio è morto a 37 anni Gaspard Ulliel. L’attore francese è rimasto ferito a seguito di un incidente sugli sci avvenuto martedì 18 gennaio sulle piste di Rosières, località montana delle Alpi francesi. Ulliel era privo di sensi quando i soccorritori sono arrivati ​​sul posto. Nato da una famiglia di stilisti, inizia la sua carriera nelle serie televisive, per poi esordire al cinema nel 2001 con Il patto dei lupi di Christophe Gans. La consacrazione arriva nel 2005, quando vince il Premio César per la migliore promessa maschile con Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet, dove recita al fianco di Audrey Tauto Tra i suoi ruoli più celebri, quello di Hannibal Lecter nel film Hannibal Lecter – Le origini del male di Peter Webber (2007), tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Harris già portato al cinema da Jonathan Demme e Ridley Scott. Il personaggio probabilmente più iconico che abbia mai interpretato è stato però lo stilista Yves Saint Laurent nel film Saint Laurent di Bertrand Bonello (2014), per il quale ottiene un’altra nomination ai Cèsar. Tra i suoi ultimi lavori, È solo la fine del mondo di Xavier Dolan (2016), Eva di Benoît Jacquot (2018) e Sybil di Justine Triet (2019). È tra i volti della nuova serie Marvel Moon Knight con protagonista Oscar Isaac: l’uscita è prevista per il 30 marzo prossimo. Testimonial del profumo Bleu de Chanel, è stato diretto da Martin Scorsese nello spot della campagna. Dopo relazioni con la collega Cécile Cassel (dal 2005 al 2007) e Charlotte Casiraghi (nel 2007), nel 2016 ha avuto un figlio dalla modella Gaëlle Pietri.

Il 20 gennaio è morto a Genova dove risiedeva ormai da anni, l’attore Camillo Milli. Aveva 91 anni. A darne notizia la famiglia con un breve comunicato. Per gli amanti della commedia italiana anni ’80, fu l’inimitabile presidente della Longobarda, il commendator Borlotti, nel film cult con Lino Banfi L’allenatore nel pallone. La sua scomparsa arriva pochi giorni dopo quella dell’amatissima moglie. Milli era malato da tempo e ricoverato nell’ospedale di Genova per i severi postumi del Covid. Nato a Milano nel 1929, aveva debuttato sul grande schermo con il noto regista Luigi Zampa nel film Ragazze di Oggi al fianco di Paolo Stoppa e Marisa Allasio. Prima ancora era stato il teatro ad attirarlo e la direzione di Giorgio Strehler a volerlo, per la sua grande capacità di impersonificazione dei personaggi. Con lui debuttò al Piccolo di Milano nel 1951 dove rimase fino al 1953.Lunghissima carriera costellata da tantissimi personaggi a cui sapeva regalare un’anima, e per questo molto amato dal pubblico. Milli aveva lavorato con i più grandi registi, soprattutto nel filone della commedia all’italiana degli anni ’80. Con Mario Monicelli ne Il Marchese del Grillo e Neri Parenti in Fantozzi contro tutti, due dei tanti nomi. Aveva affiancato anche i più grandi attori del nostro cinema, da Alberto Sordi a Ugo Tognazzi, da Nino Manfredi a Gian Maria Volontè. Protagonista di alcuni caroselli nel 1957 pubblicizzò con Ernesto Calindri e Giancarlo Cobelli i cosmetici Max Factor Hollywood, poi recitò con Franco Volpi e Sandra Mondaini, lo spot per la China Martini della Martini & Rossi, infine, insieme ad Alberto Lionello, Lauretta Masiero, Mimmo Craig e Nico Pepe, partecipò al Carosello della lozione Tricofil e la brillantina Tricofilina della Sappa. Aveva lavorato molto anche in tv, nella fiction Cento Vetrine dove interpretava la parte di Ugo Monti, e anche in Un medico in Famiglia. Tra i film più noti Sogni mostruosamente proibiti, In nome del popolo sovrano, Habemus Papam, Vogliamo i colonnelli o il Caso Mattei. La sua ultima apparizione sul grande schermo risale al 2015 nel film Si accettano miracoli di Alessandro Siani, poi aveva deciso di ritirarsi a vita privata.

Il 27 gennaio è morto Morgan Stevens, 70 anni, noto attore televisivo. Trovato morto, nella cucina di casa sua, dalla polizia, dopo che i vicini avevano chiamato per un controllo. Non si conoscono ancora i motivi del decesso, ma le autorità ritengono si sia trattato di cause naturali. Una fonte vicina all’artista ha riferito al sito TMZ, che ha dato per primo la notizia, che da giorni non si era più fatto né sentire né vedere. Conosciuto soprattutto per il suo ruolo nell’iconico “Saranno Famosi”, dove ha interpretato l’insegnante David Reardon per due stagioni, Stevens è apparso anche in 6 episodi di “Melrose Place”. Come guest star ha lavorato anche in altre popolari serie tv come “A Year in the Life”, “Love Boat”, “The Return of Marcus Welby M.D.”, “Airwolf” e “Magnum P.I.” Nel 1989, dopo un incidente d’auto, è stato arrestato per guida in stato di ebrezza e nel breve periodo in cui è stato detenuto ha subito violenze e percosse da parte di alcuni poliziotti per essersi rifiutato di restituire la maglietta che gli era stata data. Quando è uscito aveva un naso rotto, varie fratture, una mascella lussata e danni ai nervi del viso. Appena rilasciato un esame dell’alcol nel sangue più accurato lo ha però del tutto scagionato e l’attore ha fatto subito causa per maltrattamento contro la polizia di Los Angeles. La sua carriera ha però da questo momento in poi subito una battuta d’arresto e pur tornando a recitare le sue apparizioni in tv sono diventate sempre più sporadiche fino a quando, nel 1999 ha fatto la sua ultima comparsa in un episodio di “Walker, Texas Ranger”.

Il primo febbraio è morto a 82 anni l’attore Paolo Graziosi, 60 anni di carriera alternati tra teatro, televisione, cinema. Breve il messaggio dei suoi cari: “I familiari vogliono omaggiare l’artista insieme a tutte le persone che lo hanno conosciuto e amato”. Ha combattuto e vinto una lunga battaglia contro il cancro ma è stato infine sconfitto dal Covid. Le sue ultime interpretazione in “Tre piani” di Nanni Moretti e l’ancora inedito “Dante” di Pupi Avati. Nato il 25 gennaio 1940 a Rimini, Graziosi viene notato da Franco Zeffirelli, che lo sceglie per il ruolo di Mercuzio nel suo adattamento teatrale di “Romeo e Giulietta” (1964). Da allora la sua carriera si lega in maniera particolare al teatro, amando i ruoli creati da William Shakespeare e Luigi Pirandello. Diventa poi co-protagonista di “La Cina è vicina” (1967) di Marco Bellocchio. Torna al cinema per interpretare “Galileo” (1968) di Liliana Cavani e “Cadaveri eccellenti” (1976) di Francesco Rosi. Molto attivo in televisione, recita in “Le affinità elettive” (1978), “Il processo” (1978), “Trionfi e caduta dell’ultimo Faust” (1980), “Il giovane dottor Freud” (1982), “Nucleo zero” (1984). Graziosi dirada l’attività cinematografica per dedicarsi maggiormente al teatro, sua grande passione. Tra le sue più recenti apparizioni cinematografiche, “Nessuna qualità agli eroi” (2007) di Paolo Franchi; “Il papà di Giovanna” (2008) di Pupi Avati; ha prestato il volto ad Aldo Moro ne “Il divo” (2008) di Paolo Sorrentino; è stato Carlo Antici ne “Il giovane favoloso” (2014) di Mario Martone; Mastro Ciliegia in “Pinocchio” (2019) di Matteo Garrone.

Il 6 febbraio è morto Frank Pesce, attore caratterista apparso nei primi due film della trilogia di Beverly Hills Cop, in Top Gun e Miami Vice, a causa di complicazioni legate a uno stato di demenza. L’attore aveva 75 anni. Nato nel 1946 a New York City, la cerchia di amici di Pesce includeva, tra gli altri, Sylvester Stallone, Tony Danza e Robert Forster. Pesce è apparso per la prima volta sullo schermo nel 1976 e nel corso della sua carriera, ha partecipato a serie come Kojak, Supercar, e Matlock e inoltre ha ottenuto piccoli ruoli nel film di Stallone Rocky, così come nei grandi successi Flashdance e Top Gun.

Il 3 giugno Brad Johnson, che dopo una breve carriera da cowboy da rodeo e da “Marlboro Man” sfondò al cinema al fianco di Holly Hunter e Richard Dreyfuss nel dramma romantico “Always – Per sempre” (1989) di Steven Spielberg, è morto all’età di 62 anni a Fort Worth, in Texas. Johnson si è spento il 18 febbraio scorso per le complicazioni dovute alla Covid, come ha dichiarato la sua agente, Linda McAlister, a “The Hollywood Reporter”, che solo ora, dopo oltre tre mesi e mezzo, ha diffuso la notizia della scomparsa. Johnson lascia la moglie di 35 anni, Laurie, il figlio maggiore, Shane, le sue figlie Bellamy, Rachel, Eliana, Eden, Rebekah, Annabeth e il figlio più giovane, William.

Il 6 marzo è morto nel corso degli scontri a Irpin, alla periferia di Kiev, in Ucraina, il noto attore e conduttore tv ucraino Pasha Lee. Aveva 33 anni e si era arruolato nelle truppe ucraine il primo giorno dell’inizio dell’invasione russa.

Il 13 marzo è morto William Hurt, attore premio Oscar per Il bacio della donna ragno di Hector Babenco, e uno dei più straordinari interpreti della sua generazione, a soli 71 anni. E’ noto grazie alla sua performance in Stati di allucinazione di Ken Russell dove bucava letteralmente lo schermo, il colpo è stato duro. Probabilmente il fisico di questo altissimo e possente attore non ha retto agli anni in cui ha combattuto con l’alcolismo (gli stessi in cui era legato sentimentalmente all’attrice non udente Marlee Matlin, quest’anno presente in CODA). Negli anni Ottanta William Hurt fu il prototipo di una bellezza maschile intellettuale e ironica, come lui stesso era. Nato a Washington, figlio di un uomo che lavorava per il Dipartimento di Stato, dopo il divorzio dei suoi venne cresciuto dal patrigno, discendente del celebre editore Henry Luce, e già al liceo si distinse come vice presidente del Dramatics Club e si esibì come protagonista di molte recite scolastiche, tanto che sotto la sua foto di diploma, nell’annuario scolastico, ci si spinse a una previsione rivelatasi giusta: “potreste perfino vederlo a Broadway”. Prima di dedicarsi alla sua vera passione, Hurt prova a studiare Teologia all’Università, ma si diploma poi alla prestigiosa scuola di recitazione Juilliard, dove è in classe con Christopher Reeve e Robin Williams. Dopo aver calcato le tavole del palcoscenico in numerose pièce, il giovane attore arriva al cinema grazie a Ken Russell nel 1980 e da allora si impone come uno degli interpreti più duttili e interessanti della sua generazione. Lo ricordiamo straordinario e sensuale nel noir del 1981 Brivido caldo, in perfetta alchimia con Kathleen Turner e nel cult generazionale e corale Il grande freddo, sempre di Lawrence Kasdan. Fu un perfetto poliziotto sovietico in Gorky Park, adattamento del romanzo di Martin Cruz Smith. Nel 1986 alla sua prima candidatura all’Oscar come miglior protagonista fa centro vincendo l’Academy Award col commovente personaggio dell’omosessuale Molina ne Il bacio della donna ragno di Hector Babenco, dal capolavoro dello scrittore argentino Manuel Puig. Nel 1987 viene di nuovo candidato all’Oscar per Figli di un dio minore. Lavora di nuovo con Kasdan in Ti amerò… fino ad ammazzarti e Turista per caso, con Luis Puenzo ne La peste da Albert Camus, con James L. Brooks in Dentro la notizia, per cui nel 1988 viene di nuovo candidato all’Oscar. Negli anni Novanta William Hurt, divo suo malgrado il decennio precedente, si rivela ottimo caratterista, ed è ad esempio uno splendido Rochester nel Jane Eyre di Franco Zeffirelli. Lavora tantissimo per tutti gli anni Duemila, al cinema e in serie tv come Humans, Beowulf, Condor e Golia. La sua quarta e ultima nomination all’Oscar la ottiene meritatamente nel 2006 grazie a History of Violence di David Cronenberg. William Hurt è stato legato dal 1992 al 1997 all’attrice francese Sandrine Bonnaire, da cui ha avuto anche una figlia (altri tre ne ha avuti da precedenti unioni). Lo vedremo ancora in The King’s Daughter, e gli amanti dei cinecomic lo ricorderanno nei film Marvel, da L’incredibile Hulk del 2008 ai più recenti Captain America e Black Widow, passando per gli Avengers, nel ruolo del segretario di stato Thaddeus Ross.

Il 26 marzo è morto Gianni Cavina, a 81 anni a Bologna dopo lunga malattia. La notizia è arrivata direttamente da Antonio Avati, fratello di Pupi, con il quale l’artista aveva condiviso gran parte della sua carriera in ben 17 film, compreso l’ultimo, Dante, che ancora deve uscire. Il suo percorso è iniziato dalla scuola teatrale di Franco Parenti, dove ha incrociato il suo cammino con Lucio Dalla, con cui spartiva l’amore per Bologna nonostante entrambi fossero “cittadini del mondo”. È qui che ha mosso i suoi primi passi nel mondo del cabaret, acquisendo una caratterizzazione che non ha mai abbandonato veramente e che ha utilizzato per dare forma e spessore alle sue molteplici interpretazioni. Tra queste, si ricorda quella in Regalo di Natale, film del 1986 in cui ha prestato il volto a un feroce giocatore di poker in una partita diventata storica (ed emblematica) per il cinema italiano, con Diego Abatantuono, Alessandro Haber e Piero Delle Piane. Nella sua lunga carriera, che ha svolto ricercando in se stesso gli spunti più originali da portare sul set, ha preso parte a diversi sceneggiati televisivi come Il Mulino del Po di Sandro Bolchi, Jazz Band e Dancing Paradise di Pupi Avati. È apparso anche nelle produzioni più recenti e, in particolare, in Una grande famiglia di Riccardo Milani e nel film Benvenuto Presidente!, pellicola campione d’incassi.

Il 30 marzo Paul Herman è morto a 76 anni. Famoso per aver recitato ne I Soprano, ha fatto parte anche del cast di pellicole importanti, come The Irishman di Martin Scorsese. A rendere pubblica la triste notizia è stato il collega Michael Imperioli, con un commovente post Instagram. Noto per aver vestito i panni di Beanise nella celebre serie I Soprano, dove è apparso in cinque episodi dal 2000 al 2007, ha recitato in tante pellicole di successo. L’ultimo film che l’ha visto sul set è stato The Irishman di Martin Scorsese, mentre il suo esordio al cinema risale a C’era una volta in America di Sergio Leone.

Il 7 aprile il celebre caratterista Nehemiah Persoff, nato a Gerusalemme, si è spento a 102 anni. Aveva lavorato con alcuni nomi celebri del mondo del cinema, tra cui Alfred Hitchcock e Damiano Damiani. Il mondo del cinema piange il celebre caratterista Nehemiah Persoff, scomparso a 102 anni. Nato a Gerusalemme nel 1919, Persoff ha vissuto negli Stati Uniti e nel corso della sua carriera ha collaborato con alcuni celebri registi di fama internazionale. Tra questi Elia Kaza, Alfred Hitchcock e Damiano Damiani (che lo volle nel suo Il giorno della civetta). Ha lavorato come caratterista per oltre 50 anni (dal 1948 al 1999) ma poi, con l’avanzare dell’età, si era ritirato a vita privata. Nel 2021 era rimasto vedovo: sua moglie Thia, madre dei suoi quattro figli, è scomparsa. I due erano stati sposati per oltre 70 anni e per l’attore è stato un lutto particolarmente difficile da superare. In queste ore in tanti tra fan, amici e colleghi hanno deciso di omaggiare il celebre attore israeliano (e naturalizzato statunitense) attraverso le pagine social a lui dedicate e nei prossimi giorni si terranno i funerali dell’attore (anche se non è ancora certa la data). Oltre ad aver lavorato come attore e caratterista, Persoff si era fatto conoscere anche per alcuni ruoli nelle produzioni tv e come doppiatore (aveva infatti prestato la voce ad alcuni personaggi del film d’animazione Fievel). Aveva studiato recitazione presso l’Actor Studio e, nel corso della sua carriera, aveva collaborato con alcuni dei nomi più celebri del mondo del cinema internazionale.

Il 12 aprile è morto Gilbert Gottfried, attore e comico statunitense noto in Italia principalmente per il ruolo di Igor, il cattivissimo impiegato dell’agenzia di adozioni del film Piccola peste (negli altri due film della serie ricopre invece il ruolo di preside e di dentista) e nemesi dell’incompreso protagonista Junior. Negli Stati Uniti è stato anche il doppiatore di Iago, il pappagallo scagnozzo del villain Jafar nel lungometraggio animato Aladdin della Disney. La notizia del decesso della celebrità è però passata quasi in secondo piano quando sul suo profilo Twitter hanno iniziato ad apparire collegamenti a contenuti di natura sessuale. Probabilmente è stato hackerato. Gilbert Gottfried aveva 67 anni. Era conosciuto per il suo umorismo irriverente e senza limiti e per la sua inconfondibile voce rauca e squillante. Ad annunciare la sua morte è stata la sua famiglia sui social network. Green Schwartz, storico addetto stampa dell’attore, ha dichiarato che Gilbert Gottfried soffriva di tachicardia ventricolare, una forma di insufficienza cardiaca. A causarla starebbe stata la distrofia miotonica di tipo 2, una malattia genetica neuromuscolare che causa dolori e difficoltà nel movimento, problemi endocrini, respiratori e al cuore.

Il 22 aprile è morto l’attore, regista e produttore francese Jacques Perrin è morto all’età di 80 anni a Parigi. A partire dagli anni 50, ha girato oltre 70 film, tra cui grandi successi come “Les Demoiselles de Rochefort” nel 1967 e “Peau d’âne” nel 1970. Profondi i legami anche con l’Italia. Nel 1988 aveva interpretato il ruolo di Totò adulto nel film di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” premiato poi con il Golden Globe e l’Oscar come miglior film straniero. Perrin era nato a Parigi il 13 luglio 1941. In Italia aveva girato anche altri film, come ” La ragazza con la valigia” (1961), nel ruolo del giovane Lorenzo Fainardi innamorato pazzo di Claudia Cardinale e ” In nome del popolo sovrano” (1990) di Luigi Magni, film storico-risorgimentale dove recitò nelle vesti del frate Ugo Bassi. Nel 1966, Perrin si aggiudicò due premi come miglior attore al Festival di Venezia per il film italiano ” Un uomo a meta’” e per il film spagnolo ” La busca”. Nel 1988 interpretò il ruolo di Salvatore da adulto in ” Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore, premiato con l’Oscar al miglior film straniero nel 1990: celebre la sequenza finale, con i baci censurati nel corso degli anni, ma “salvati” dal vecchio proiezionista, sulle note di Morricone.

Il 22 aprile è morto a 90 anni l’attore statunitense Robert Morse, aveva 90 anni. Negli ultimi anni doveva la sua popolarità al personaggio di Bertram Cooper, l’eccentrico capo dell’agenzia pubblicitaria Sterling Cooper attorno alla quale ruotava la vicenda di “Mad Men”, serie tv di grandissimo successo realizzata tra il 2007 e il 2015. Più recentemente aveva preso parte ad “American Crime Story” e prestato la voce alla serie animata “Teen Titans Go!”.

Il 27 aprile l’attore cinese Kenneth Tsang, trovato morto oggi in un hotel di Hong Kong dove si stava sottoponendo a quarantena obbligatoria per Covid-19. Tsang aveva 86 anni, Hollywood lo aveva incoronato soprattutto per film di successo come “Colpo grosso al Drago Rosso” e “007 La morte può attendere”. Secondo il “South China Morning Post”, che ha citato una fonte del governo locale, l’attore era in quarantena in un albergo nel quartiere Tsim Sha Tsui della metropoli cinese dopo essere tornato da un viaggio a Singapore. E’ stato trovato incosciente nella sua stanza d’albergo dopo che i colpi alla porta da parte degli operatori sanitari che effettuano i controlli quotidiani sono rimasti senza risposta. Poco dopo è stato dichiarato morto. La fonte del giornale ha detto che ieri Tsang era risultato negativo al Covid martedì 26 aprile. Fratello dell’attrice Jannette Lin Tsui, Kenneth Tsang aveva studiato a Hong Kong per poi trasferirsi negli Stati Uniti, prima in Texas e poi in California, dove si laureò in architettura all’Università di Berkeley. Da metà degli anni Sessanta Tsang si dedicò a tempo pieno al cinema, lavorando in film polizieschi e kung fu movies con Connie Chan Po-Chu e Josephine Siao. Alla fine degli anni Sessanta interpretò diversi film della serie cinematografica dedicata a Wong Fei Hung, medico cinese di grande popolarità tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, considerato uno dei padri delle moderne arti marziali. Dopo “Caccia spietata” (1986) di David Chung, Tsang interpreta Ken nel poliziesco “A Better Tomorrow” (1986) del celebre regista cinese John Woo: il film, campione di incassi in Asia, ha avuto una profonda influenza inaugurando il filone dei noir metropolitani iperrealisti. Tsang riprende il ruolo del proprietario di taxi Ken nel sequel del 1987, “A Better Tomorrow II”, e viene di nuovo diretto da Woo nel 1989, quando incarna Randy Chang, il collega dell’ispettore Li (Danny Lee) nel thriller “The Killer”. Tsang viene ancora diretto da Woo nel 1991, interpretando malavitoso padre adottivo dei tre ladri di opere d’arte protagonisti di “Once a Thief”. Diventato una star in Cina, negli anni Novanta Tsang gira anche diversi film a Singapore, tra cui la serie tv drammatica “The Teochew Family” (1995). Il suo debutto a Hollywood avviene nel 1998 nel poliziesco “Costretti a uccidere” di Antoine Fuqua, primo film americano del divo del cinema d’azione di Hong Kong Chow Yun-Fat, accanto al quale Tsang aveva già lavorato nei film diretti da Woo. Nel 2001 Tsang recita con Jackie Chan in “Colpo grosso al Drago Rosso” di Brett Ratner. Nel 2002 arriva un ruolo prestigioso: Tsang interpreta il generale coreano Moon in “007 – La morte può attendere” di Lee Tamahori, il film della serie di James Bond in cui Pierce Brosnan veste i panni dell’agente segreto protagonista per la quarta e ultima volta alle prese, con un traffico di armi e diamanti. Ricercato dalle grandi produzioni di Hollywood, nel 2005 Tsang interpreta un generale in “Memorie di una geisha” di Rob Marshall e nel 2009 recita nel thriller “Formosa Betrayed” di Adam Kane. Nel 2011 è nel cast di “Overheard 2” di Felix Chong e Alan Mak. Dopo il drammatico “Starry Starry Night” (2011) di Tom Shuyu Lin, Tsang approda in Italia per la terza prova da regista di Luca Barbareschi, “Something Good: The Mercury Factor” (2013). In seguito ha ripreso a recitare in produzioni di Hong Kong.

Il primo maggio è morto Jerry verDorn, star della soap opera Sentieri. L’attore, noto per aver interpretato l’avvocato Ross Marler, era malato da tempo ed è morto a 72 anni. Jerry verDorn, malato di tumore, è morto domenica scorsa nella sua casa di Sparta (New Jersey), anche se l’annuncio della famiglia è arrivato poche ore fa. La sua consacrazione internazionale arrivò proprio nel ruolo di Ross Marler in Sentieri: l’attore nel 1979 stava recitando a Broadway quando fu notato dai responsabili del casting della soap opera. Entrò quindi a far parte del cast nel marzo di quell’anno e rimase in quel ruolo per 26 anni, fino al 2005 guadagnandosi i Daytime Emmy Award nel 1995 e 1996 come miglior attore non protagonista e altre cinque nomination. Nell’ottobre del 2005 era entrato a far parte del cast della soap ‘Una vita da vivere’ della rete Abc vestendo i panni del patriarca Clint Buchanan che fino ad allora era stato il ruolo di Clint Ritchie. Ha recitato fino al 2013.

Il 2 maggio Kailia Posey, deceduta a soli 16 anni dopo aver compiuto un gesto estremo. La ragazza, diventata famosa grazie al reality Toddlers & Tiaras, è stata ritrovata in un parco di Washington, non lontano dalla sua abitazione. Secondo i media locali, Kailia Posey ha deciso di togliersi la vita pianificando fin nei minimi dettagli il suo ultimo gesto. La reginetta di bellezza, fino al giorno del ritrovamento del suo corpo, non aveva mai fatto intendere che qualcosa non andasse. Eppure, aveva scelto con attenzione il luogo dove suicidarsi e l’ora in cui avrebbe detto addio al mondo intero. L’ultimo post di Kailia condiviso su TikTok la vede felice, mentre prepara il ballo scolastico insieme alla sua migliore amica.

Il 3 maggio è morto, a Roma, l’attore, sceneggiatore e regista Lino Capolicchio. Aveva 78 anni. Se n’è andato proprio nella notte dei David di Donatello: ne aveva vinto uno recitando nel film premio Oscar di Vittorio De Sica, ‘Il giardino dei Finzi Contini’. Nella seconda parte di carriera ha spesso collaborato col regista Pupi Avati. Nato a Merano, Capolicchio è cresciuto a Torino prima di trasferirsi a Roma, dove ha frequentato l’Accademia nazionale d’Arte drammatica ‘Silvio D’Amico’. È stato uno dei protagonisti della stagione dello sperimentalismo e della militanza del cinema italiano degli anni Settanta. Ha esordito al Piccolo Teatro di Milano nella compagnia di Giorgio Strehler, ma è sul grande schermo che ha ottenuto il successo. Tra i suoi film più importanti ‘Metti una sera a cena‘ di Giuseppe Patroni Griffi, ‘Il giovane normale‘ di Dino Risi e il film premio Oscar di Vittorio De Sica ‘Il giardino dei Finzi Contini‘ (1971), tratto dal romanzo di Giorgio Bassani, con il quale ha vinto un David di Donatello per la miglior interpretazione maschile, ma anche l’Orso d’Oro al Festival di Berlino. Poi la forte interpretazioni in Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani, quindi il ritorno in tv nello sceneggiato La paga del sabato (1975) di Sandro Bolchi. Nel 1976 Pupi Avati lo sceglie come protagonista del thriller La casa dalle finestre che ridono (1976); di qui nasce un lungo rapporto di collaborazione che vede l’attore nel cast e delle miniserie TV Jazz Band (1978) e Cinema!!! (1979), oltre che del film Ultimo minuto (1987). Nel 2006 Capolicchio interpreta, come attore protagonista con il regista belga Mohammed Hambra, il film Aller-retour: la storia di un italiano che ritorna in Belgio dopo aver lavorato a lungo nelle miniere di Marcinelle.

Il 7 maggio Mike Hagerty è morto. La guest star di ‘Friends’ se ne è andata ieri nella sua casa di Los Angeles all’età di 67 anni. A renderlo noto è stata Bridget Everett, la sua ex co-protagonista dello show televisivo ‘Somebody Somewhere’, che poche ore fa ha condiviso su Instagram un ricordo personale dell’artista, apparso in alcune delle serie tv più famose in Usa e non solo. Nato a Chicago nel 1954, Mike Hagerty esordisce a Hollywood nel 1975 nel film ‘The Timber Tramps’, ma è solo tra gli Anni 80 e 90 che riesce a farsi apprezzare davvero per il suo talento comico. Da ‘Star Trek: The Next Generation’ a ‘Friends’, da ‘E.R. – Medici in prima linea’ a ‘Desperate Housewives – I segreti di Wisteria Lane’ fino a ‘Buona fortuna Charlie’, Mike Hagerty era un presenzialista del piccolo schermo. Che si trattasse di un piccolo cameo o di ruoli più importanti, come quello ricorrente dal 1994 al 2004 di Mr Treeger in ‘Friends’, sapeva sempre come dare risalto al proprio personaggio. Il comico ha avuto una carriera molto ricca come caratterista in diversi programmi televisivi al fianco di star del calibro di Jennifer Aniston, Lisa Kudrow, Courteney Cox, Matt LeBlanc, David Schwimmer e Matthew Perry.

Il 7 maggio a 66 anni si è spento improvvisamente e prematuramente a Torino Eugenio Allegri, attore e regista di grande talento, originario di Collegno. Allegri è noto al pubblico per aver dato voce e volto a Novecento, il personaggio del monologo di Alessandro Baricco, con la regia di Gabriele Vacis. Attore dal fascino poetico speciale, ma anche direttore artistico e docente, ha nel suo curriculum un altro monologo indimenticabile, “La storia di Cirano” e molte altre interpretazioni tra cui quella in “Edipus” di Giovanni Testori per la regia di Leo Muscato, “Il nome della rosa” di Umberto Eco del Teatro Stabile e “Come vi piace” di Shakespeare. Ma Allegri ha lavorato anche al Cinema con i registi più famosi tra cui Giulio Base, Marco Ponti e Daniele Segre e recitò nel film dedicato alla vita di Giacomo Leopardi, “Il giovane favoloso”. Al Teatro Carignano in questi giorni verrà allestita la camera ardente per l’ultimo saluto.

Il 13 maggio è morto Fred Ward, aveva 79 anni. Ward ha recitato in particolare in film come “Tremors”, “Uomini veri” e “Il mio nome è Remo Williams”. L’annuncio della scomparsa è stato dato dal suo agente Ron Hoffman, precisando che per volontà della famiglia, che vive in California, non sono stati resi noti né la causa né il luogo del decesso. Nato a San Diego, in California il 30 dicembre 1942, da una famiglia con origini scozzesi, irlandesi e cherokee, Ward ha portato nel suo lavoro una forza autentica e un modo burbero. E’ stato attivista sindacale e compagno di lavoro di Meryl Streep in Silkwood (1983) di Mike Nichols e si è fatto apprezzare per i ruoli nei film “I protagonisti” (1992) di Robert Altman (1992), “Cuore di tuono” (1992) di Michael Apted (1992), “America oggi” (1993) di Altman. Prima di diventare attore, Ward è stato per tre anni nell’esercito, ha fatto boxe a livello professionistico e ha lavorato come boscaiolo in Alaska. Dopo aver frequentato la New York’s Herbert Berghof Studio diventa un attore e partecipa ad alcuni film di Roberto Rossellini durante un periodo di studio a Roma. Rientrato negli Usa si dedica a tempo pieno al cinema: tra i primi film “Fuga da Alcatraz” (1979) e “I guerrieri della palude silenziosa” (1981). Dopo “Il mio nome è Remo Williams” (1985), appare in “Tremors” (1990) nel celebre ruolo di Earl Bassett in coppia con Kevin Bacon (e anche nel seguito “Tremors 2: Aftershocks” del 1996). Interprete di una settantina di film, Ward ha recitato in ruoli sia drammatici che in film d’azione, oltre a partecipare come guest star in alcune sitcom, come “Grey’s Anatomy”. Tra gli altri suoi film “Road Trip, regia”, “Le avventure di Joe Dirt”, “Abandon – Misteriosi omicidi”, “Via dall’incubo”, “Blindato”, “30 Minutes or Less”.

Il 12 maggio è morto all’età di 65 anni Bruce MacVittie, prolifico attore teatrale e protagonista di numerose serie tv, tra cui I Soprano e Law & Order, dove ha fatto parte anche ai suoi tanti spin-off. Nel corso di 30 anni di carriera, precisamente tra il 1991 e il 2021, Bruce MacVittie è diventato famoso provo per la sua apparizione in Law & Order, Law & Order: Criminal Intent e Law & Order: Special Victims Unit per un totale di 15 volte, ogni volta con un personaggio diverso. Ma a renderlo famoso è stato il suo ruolo ricorrente di Danny Scalercio nella quarta stagione de I Soprano, dove il pubblico lo ha imparato a conoscere ed amare ancora di più. Una interpretazione ottenuta nel 2002 e che lo ha fatto esplodere a livello internazionale. La serie tv circa un anno prima aveva perso Joseph Siravo. Come tanti attori cinematografici, Bruce MacVittie ha esordito in teatro. Ha fatto il suo debutto a Broadway, recitando al fianco di nientemeno che Al Pacino nel 1983 per l’opera teatrale di David Mamet American Buffalo. Si consideri che nel 1983 Al Pacino aveva già recitato nei primi due episodi della trilogia de Il Padrino, per citarne solo una sua produzione. Bruce inoltre è stato uno dei creativi che ha contribuito a fondare la compagnia teatrale Off Broadway Naked Angels. Ha anche preso parte a diverse produzioni cinematografiche che lo hanno reso uno dei volti più conosciuti. In merito alla sua vita privata, sappiamo che era sposato da anni con Carol Ochs. Dal loro matrimonio è nata la prima ed unica figlia Sophia Oliva Ochs MacVittie.

Il 24 maggio, all’età di 60 anni, l’attore campano Gennaro Cannavacciuolo. Non si conoscono i motivi della sua prematura scomparsa, ma fino a pochi giorni fa era apparso felice sui social. A darne notizia all’Ansa è stata la moglie Christine. Originario di Pozzuoli, dove era nato il 14 febbraio 1962, ha calcato tutti i teatri d’Italia, era stato allievo della scuola di Edoardo De Filippo, e aveva interpretato spettacoli comici, drammatici, di prosa. Aveva incantato generazioni di spettatori con la sua bravura, anche nel canto. Infatti nella sua lunga carriera non sono mancati i musical e gli one man show. Le sue ultime rappresentazioni erano state l’omaggio in palcoscenico a Yves Montand. Un italien à Paris e la tournée di quest’inverno di Milva. Donna di teatro. Sempre elegante, delicato, intenso ma anche coraggioso, come aveva scritto lui stesso su Facebook, quel coraggio di interpretare spesso anche ruoli femminili, lontano da ogni pregiudizio: “Essere un buon attore non è facile, essere un uomo è ancora più difficile e pubblicare questa foto richiede, credo, molto coraggio” aveva scritto postando l’immagine che lo ritraeva vestito da donna nei panni di Cesira. Attivo anche nel cinema e nella televisione, Cannavacciuolo aveva ricevuto diversi riconoscimenti, e non aveva mai nascosto quella malinconia che porta con sé il ruolo d’attore, che lo rendeva ancora più speciale. I suoi prossimi spettacoli, che lo avrebbero visto in scena a Milano i prossimi 27, 28 e 29 maggio, vedranno invece un palco vuoto, privo di quell’istrionico artista che sapeva far riflettere e divertire.

Il 29 maggio è 84 anni è morto Bo Hopkins, grande nome del cinema americano diventato famoso per il suo peculiare sguardo impenetrabile e feroce. Questa sua caratteristica gli è valsa principalmente l’interpretazione di ruoli “cattivi” nel cinema, com’è accaduto con Il mucchio selvaggio, Getaway!, American Graffiti, McKlusky, metà uomo metà odio e Fuga di mezzanotte. Non sono note le sue condizioni di salute pregresse ma, nell’annunciarne la scomparsa, la seconda moglie Sian Eleanor Green, sposata nel 1989, ha spiegato a The Hollywood Reporter che il marito era stato ricoverato dopo un attacco di cuore lo scorso 9 maggio. Hopkins è stato uno degli attori preferiti dal regista Sam Peckinpah, che lo scritturò in tre dei suoi film di maggior successo. Interpretò il ruolo di Clarence Crazy Lee ne Il mucchio selvaggio nel 1969, quello di un rapinatore di banche doppiogiochista in Getaway nel 1972 e divenne un esperto di armi in Killer elite, film del 1975. La sua vera consacrazione, però, è arrivata con un film di George Lucas, che nel 1973 lo scelse per American Graffiti, dove gli affidò la parte di Joe Young, il capo della gang di greaser The Pharaohs. È propio questo ruolo che ha fatto di Bo Hopkins un cattivo di prim’ordine nel panorama degli attori di Hollywood. Nacque a Greenville, nel North Carolina e a 16 anni partì per il servizio militare, al termine del quale decise di dedicarsi alla recitazione. Molti dei suoi ruoli non sono stati da protagonista nei film in cui ha recitato ma l’intensità che ha regalato a quei personaggi l’ha fatto diventare uno dei cattivi più amati di sempre. Nella sua lunghissima carriera, Bo Hopkins ha intrapreso anche la strada televisiva, recitando in alcuni telefilm di grande successo in America e nel mondo come Bonanza, Charliès Angels, Dynasty e La signora in giallo. Da qualche tempo era sparito dagli schermi ma tra le sue ultime interpretazioni si ricordano in particolare il thriller U Turn – Inversione di marcia, diretto da Oliver Stone nel 1997, ed Elegia Americana del 2020 di Ron Howard.

Il 3 giugno è morto l’attore Roberto Brunetti, 55 anni, meglio conosciuto dal suo grande pubblico come “er Patata”. A dare l’allarme venerdì alle 22.30 è stata la sua compagna, che aveva provato a chiamarlo al telefono, ma Brunetti non rispondeva più. Allora la donna è andata a suonare a casa, anche li non rispondeva nessuno. Così la ex compagna ha allertato i soccorsi, e i vigili del fuoco hanno aperto la porta. Sul corpo non sono stati riscontrati segni di violenza. Sul posto è andato anche il medico legale. Sarà l’autopsia a stabilire con certezza le cause della morte. Esaltando la sua romanità, Brunetti aveva recitato in Romanzo Criminale, ex compagno dell’attrice Monica Scattini, scomparsa nel 2015, ha avuto un ruolo in Fuochi d’artificio di Leonardo Pieraccioni e in Paparazzi di Neri Parenti. Nel 2009 era stato coinvolto in una storia di droga: era arrestato dopo essere stato fermato con dell’hashish durante un controllo a Trastevere mentre era in scooter con un amico.

Il 12 giugno è morto l’attore Philip Baker Hall a 90 anni. Caratterista di grande talento ed estremamente versatile con oltre 180 personaggi interpretati sul grande schermo oltre alla passione per il teatro e alle partecipazioni a decine di serie tv, Baker Hall nel corso della carriera ha collezionato ruoli in film come Sydney, Boogie Nights – L’altra Hollywood e Magnolia tutti e tre di Paul Thomas Anderson, The Truman Show di Peter Weir, Psycho di Gus Van Sant, Insider – Dietro la verità di Michael Mann, Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella, Dogville di Lars von Trier, Amityville Horror di Andrew Douglas e In Good Company di Paul Weitz. La causa della morte dell’attore che lascia la moglie, Holly Wolfle, e due figlie, Adella e Anna, non è stata resa nota. Philip Baker Hall, aveva sofferto di enfisema e in un’intervista del 2017 al Washington Post aveva raccontato di aver avuto bisogno dell’ossigeno e di aver fumato per tutta la vita fino a quando non ha smesso alla fine degli anni ’90.

Il 17 giugno è morto a 91 anni l’attore francese Jean-Louis Trintignant. Nato nel piccolissimo comune francese di Piolenc in Provenza l’11 dicembre 1930, ha avuto una carriera lunga oltre 70 anni, un vero mostro sacro, la cui vita privata è stata segnata da molti drammi, primo fra tutti quello della morte violenta della figlia Marie uccisa dal compagno Bertrand Cantat nel 2003. S i era ufficialmente ritirato dalle scene nel 2018, annunciando quasi con nonchalance di dover combattere contro un tumore che gli succhiava le forze. Invece nel 2019 aveva ceduto al richiamo del vecchio amico Claude Lelouch per tornare a fare coppia con Anouk Aime’ e per l’atteso ritorno dei personaggi di “Un uomo e una donna” che nel 1966 furono premiati con la Palma d’oro e diedero a Trintignant il successo mondiale. Il festival di Cannes ha applaudito “I Migliori anni della nostra vita”, a meta’ fra finzione e confessione pubblica, ma c’era un po’ di tristezza nascosta dal luccichio dei flash sul tappeto rosso. L’inimitabile pilota romantico Jean-Louis di “Un uomo e una donna” nasce a Piolenc. Suo padre è un piccolo industriale, figlio e nipote di una famiglia di piloti da corsa che non fa mistero delle sue simpatie socialiste: milita nella Resistenza e poi sarà sindaco del paese. La madre è una robusta signora della piccola borghesia, andata sposa per un matrimonio combinato, protagonista di una storia d’amore con un soldato tedesco che segnera’ i rapporti col marito e la prima infanzia del figlio che assiste ai litigi dei genitori e viene spesso costretto a vestirsi da donna per accondiscendere al desiderio della madre che voleva una figlia dopo il primogenito.

Il 18 giugno è avvenuta una tragedia durante i ciak della serie The Chosen One, uno dei nuovi progetti di Netflix: due attori, Raymundo Garduno Cruz e Juan Francisco Gonzalez Aguilar (nome d’arte ‘Paco Mufote’), hanno perso la vita in un brutto incidente. I due erano a bordo di un furgone che si è ribaltato proprio a due passi dal luogo delle riprese, a Santa Rosalia in Messico. Gli amici dei due attori, scrive The Daily Beast, si sono scagliati contro la produzione, sostenendo che gli stessi membri del cast si erano già lamentati più volte di trasporti e logistica scadenti. Netflix, per ora, non ha rilasciato alcun commento. The Chosen One, adattamento del fumetto American Jesus di Mark Millar, racconta la storia di un dodicenne che scopre di essere Gesù Cristo e di avere un destino enorme: salvare l’umanità. Le riprese erano iniziate da un paio di mesi, lo scorso aprile.

Il 19 giugno è morto Tyler Sanders, l’attore appena 18enne che aveva ricevuto una nomination agli Emmy Awards per la sua interpretazione nella serie Prime Video «Just Add Magic: Mystery City», è morto giovedì scorso a Los Angeles. La brutta notizia è stata confermata a Variety dal suo agente: la causa del decesso è al momento sconosciuta, ma per volontà della famiglia sarà disposta un’autopsia sul suo corpo. Sanders ha iniziato a recitare a 10 anni, partecipando a diversi cortometraggi. Ha ottenuto il suo primo ruolo televisivo importante nel 2017, quando ha interpretato la versione giovane del protagonista Sam Underwood in un episodio di «Fear the Walking Dead». Tra le altre apparizioni televisive figurano un episodio di «The Rookie» nel 2018 e un episodio di «9-1-1: Lone Star» andato in onda lo scorso 18 aprile, il suo ultimo ruolo prima della morte. Al di fuori della tv, Sanders è apparso anche nel film del 2019 «The Reliant» con Kevin Sorbo. Prima di morire, Sanders ha completato un ruolo nel lungometraggio «The Price We Play», interpretato da Stephen Dorff e diretto da Ryûhei Kitamura. Nel 2019 Sanders è stato guest-star nell’episodio finale della serie fantasy per bambini «Just Add Magic». La serie, basata sul libro del 2010 di Cindy Callaghan, ruotava attorno a tre amiche che scoprono un misterioso libro di cucina pieno di ricette per cibi con proprietà magiche. L’episodio finale ha visto le ragazze passare il libro di cucina a tre nuovi protettori: Leo (interpretato da Sanders), Zoe (Jolie Hoang-Rappaport) e Ish (Jenna Qureshi). I tre attori avrebbero poi interpretato una serie spinoff intitolata «Just Add Magic: Mystery City». La serie vedeva il personaggio di Sanders utilizzare il libro di cucina per risolvere un mistero riguardante la paternità della sorellastra Zoe e, infine, salvare il mondo. Per il suo ruolo di Leo, Sanders ha ricevuto una nomination per la migliore interpretazione principale in un programma per bambini ai Daytime Emmy Awards.

Il primo luglio è morto a 94 anni l’attore americano Joe Turkel, celebre per il suo ruolo in Shining in cui intepretava l’inquietante barista Lloyd dell’Overlook Hotel. Era stato anche il creatore dei replicanti Eldon Tyrell in Blade Runner. Turkel è morto lunedì scorso – come ha annunciato la famiglia all’Hollywood Reporter – al Providence St. John’s Health Center di Santa Monica, in California. Lunga la sua carriera da caratterista, spesso in ruoli da villain affidatigli sempre da Stanley Kubrick: pistolero nella sparatoria culminante di Rapina a mano armata (1956), soldato mandato al plotone d’esecuzione in Orizzonti di gloria (1957). E, in seguito, gangster in Delitto al faro, prigioniero di guerra in Quelli della San Pablo (1966). Fu lo stesso Turkel, nel podcast Kubrick Universe, a raccontare la genesi del suo sodalizio con il maestro. Che lo vide per la prima volta nel film Man Crazy (1953) e gli disse “Il film era terribile, ma mi piacevi tu e quello che facevi e così dissi che prima o poi avrei dovuto assumere quel ragazzo. Dopo il ruolo minore in Rapina a mano armata Kubrick scritturò Turkel, allora trentenne, come uno dei tre soldati usati come capro espiatorio per un fallito attacco della Prima Guerra Mondiale nel classico Orizzonti di gloria. Il suo personaggio, il soldato decorato Arnaud, viene scelto per sorteggio per essere mandato a morte insieme al soldato Ferol (Timothy Carey) e al caporale Paris (Ralph Meeker). In Shining Jack Torrance (Jack Nicholson) si aggira nella Gold Room dell’Overlook Hotel, vuota, e si dirige verso il bar dove, in preda alla follia, chiede un bicchiere di birra. Improvvisamente appare il barman della sala, Lloyd (Turkel), che gli versa un bourbon, anche se Torrance non ha soldi. “Mi piaci Lloyd, mi sei sempre piaciuto”, dice Torrance. “Sei sempre stato il migliore di tutti. Il miglior maledetto barista da Timbuctu a Portland, nel Maine – Portland, nell’Oregon, se è per questo”. Quando Torrance torna nella stanza, Lloyd è ancora dietro il bancone, ma ora è pieno di ospiti di una festa anni Venti. In quelle scene di Shining Turkel in totale 96 parole. Raccontò che le prove durarono sei settimane mentre “Stanley cercava l’inquadratura perfetta”. Un giorno rimase sul set dalle 9 alle 22.30: “Sono arrivato nel mio camerino, mi sono tolto la camicia, la maglietta e ho strizzato il sudore”.

Il 7 luglio è morto James Caan, mitico Sonny, figlio manesco e irruente di Don Vito Corleone. Aveva 82 anni. Se ne è andato in silenzio a. compiuti. Strano a dirsi, nonostante la nomination all’Oscar e l’indubbio successo personale, James Caan non amava identificarsi col personaggio del mafioso americanizzato e rideva del luogo comune per cui tanti a Hollywood credevano avesse radici italiane. Sta di fatto che nel genere del noir e dintorni si è spesso ritrovato cogliendo successi importanti: “40.000 dollari per non morire” di Karel Reitz, “Killer Elite” di Sam Peckinpah negli anni ’70, “Li troverò ad ogni costo” (da lui stesso diretto) e “Strade violente” di Michael Mann (forse il suo capolavoro personale) negli anni ’80; “Misery non deve morire” di Rob Reiner e perfino l’auto ironico “Mickey Blue Eyes” di Kelly Makin negli anni ’90, fino all’inatteso “BloodTies” di Guillaume Canet e a “Out of Blue” di Carol Morley con cui chiuse virtualmente la carriera nel 2018. Nato nel Bronx il 26 marzo 1940, terzo figlio di un macellaio di origini tedesche, il giovane James cresce nelle strade violente della periferia di New York, è svogliato studente nel Queens e poi all’Università di Hempstead dove incontra per prima volta l’amico di una vita, Francis Coppola. Caan lascia però precocemente i banchi di scuola per iscriversi ai corsi di recitazione di Sanford Meisner, il suo Pigmalione. Apparirà non accreditato sul set di “Irma la dolce”, si farà notare in tv con la serie “Gli intoccabili”(1962), recita con John Wayne in “El Dorado”, ritrova Coppola (ora regista alle prime armi) in “Non torno a casa stasera” (1969). Il suo mito è Steve McQueen, emblematico protagonista di un’America rude e vitale in cui più della cultura contano passione e voglia di affermarsi. Se può sceglie ruoli virili (giocatore di football, poliziotto manesco, pokerista incallito, soldato leale, cowboy al tramonto) e non smentirà mai la sua amicizia con un personaggio di dubbia fama (processato per mafia) come Jo Jo Russo, capo indiscusso della famiglia Persico. Nella vita privata cambia spesso compagna (quattro mogli), a ciascuna lascia in dote almeno un figlio: alla fine saranno cinque e con uno, Scott, si impegnerà anche nella creazione di una piattaforma per giovani autori indipendenti. In politica James Caan è stato sempre un fervente repubblicano (come l’amico Bruce Willis) e si era impegnato in prima persona per la campagna presidenziale di Donald Trump. Come spesso accade però agli eroi del machismo americano, celava un carattere fragile che lo aveva gettato in una grave depressione all’inizio degli anni 80, costringendolo lontano dal set per cinque anni e lasciandogli una pericolosa dipendenza dalla cocaina da cui riusci’ a liberarsi solo grazie a Coppola che gli offri’ il ruolo da protagonista in “Giardini di pietra”. In pubblico mostrava invece un volto sorridente, pronto alla battuta e alle bisbocce in compagnia. Difficile immaginare un americano più americano di lui ed è per questo che grandi registi come Sam Peckinpah o Michael Mann ne avevano fatto un’ideale icona.

Il 9 luglio L.Q. Jones è morto presso la sua casa sulla colline do Hollywood. L’attore era un volto cult dei film western, con i suoi capelli e i suoi folti baffi prima biondi e poi bianchi. Morto l’attore L.Q. Jones, aveva 94 anni: era diventato celebre nel film “Il mucchio selvaggio”. L.Q. Jones, all’anagrafe Justus Ellis McQueen Junior, era nato il 19 agosto 1927 a Beaumont, in Texas. Come riferito dal nipote Erté deGarces a Hollywood Reporter, si è spento per cause naturali. Nella lunga carriera di L.Q. Jones, si contano più di 165 ruoli in film e serie televisive. L’attore texano recitò in numerosi classici del registra Sam Peckinpah, come Il mucchio selvaggio, che gli regalò la notorietà grazie al ruolo di cacciatore di taglie, e Pat Garrett e Billy Kid. L.Q. Jones vestì inoltre i panni del gestore di ranch Andy Belden nel telefilm Il virginiano, mise il cappio al collo di Clint Eastwood in Impiccalo più in alto, fece lo sceriffo nella soap Yellow Rose, fu il commissario della contea di Clark Pat Weeb nel film di Martin Scorsese Casinò e impersonificò il cantante Chuck Akers di Radio America di Robert Altman.

Il 13 gennaio è morta Ronnie Spector, aveva 78 anni, icona pop degli anni Sessanta. È stata la guida delle Ronettes nonché la prima emanazione del cosiddetto Wall of Sound di Phil Spector degli anni Sessanta. La voce di Veronica Bennett, poi diventata Ronnie Spector, fu il vero tratto distintivo del primo gruppo tutto al femminile. La popolare cantante americana è dopo un tremenda malattia, ma la sua influenza su intere generazioni del pop-rock rimarrà immortale. Con la sorella Estelle e la cugina Nedra formò nel 1957 il trio delle Ronettes, che presto diventarono un successo internazionale. A loro si “opponevano” le Supremes di Diana Ross, ma entrambe le formazioni fecero da esempio per la musica dell’avvenire. Con una voce potente e un look sensuale, arroventarono le platee con successi planetari come Walking in the Rain, Be My Baby, Do I Love You e I Can Hear Music. Le Ronettes andarono anche in tour con i Beatles nel 1966, per poi molti anni dopo, nel 2007, entrare di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame.

Il 2 febbraio è morta Monica Vitti, nata Maria Luisa Ceciarelli a Roma, il 3 novembre del 1931, aveva compiuto da qualche mese 90 anni. Attrice icona del cinema italiano, era assente dalle scene dal 2001,quando fu ricevuta al Quirinale per i David di Donatello. Musa di Michelangelo Antonioni, regina della commedia all’italiana al fianco di Alberto Sordi. Monica Vitti, è stata una di quelle attrici che rendono immortale il cinema italiano nel mondo. Lei, Monica l’indimenticabile, icona che va oltre il tempo, e che negli ultimi venti anni è stata nascosta dalla malattia, nell’oblio. Per lei il cinema e’ sempre stato elisir di vita e anche oggi le restituisce un eterno presente. Sappiamo che la verita’ e’ molto piu’ dolorosa, una forma di Alzheimer che l’ha isolata dal mondo e che il marito Roberto Russo – che oggi affida la notizia della sua morte a Walter Veltroni su twitter – ha difeso con grande rigore e rispetto combattendo contro i “si dice” e le false notizie che a intervalli regolari hanno popolato la rete. Sappiamo che la morte è avvenuta a Roma, e anche che sua ultima apparizione pubblica è stata 19 anni fa (alla prima di Notre Dame de Paris) e che gia’ negli anni precedenti le sue partecipazioni ad eventi ufficiali si erano rarefatte dopo un ritiro dalle scene che data ormai dal 2001, quando fu ricevuta al Quirinale per i David di Donatello. Nata Maria Luisa Ceciarelli a Roma, il 3 novembre del 1931, cresciuta in Sicilia prima della guerra a causa del lavoro del padre (ispettore al commercio), innamorata della recitazione fin dall’adolescenza (quando metteva in scena spettacolini casalinghi per distrarre i fratelli dagli orrori delle bombe negli ultimi anni di guerra), si diploma nel 1953 all’Accademia d’arte drammatica sotto la guida di Silvio d’Amico e con un maestro-sodale d’eccezione come Sergio Tofano. Ci sono gia’ tutti i segni della sua duttilita’ d’interprete: il primo la spinge in palcoscenico per affrontare grandi ruoli drammatici (Shakespeare, Molie’ re, “La nemica” di Nicodemi con cui conquista il pubblico), il secondo la porta a liberare la sua verve istrionica nella riuscita serie di commedie ispirate al personaggio del Signor Bonaventura, allora popolarissimo eroe dei fumetti. Intanto si e’ data un nome d’arte con cui rimpiazzare il nomignolo di “Setti vistini” con cui la chiamavano amici e familiari per la sua capacita’ di cambiarsi in fretta e furia come un personaggio di Fregoli. Sceglie un cognome che le ricorda la madre amatissima (Adele Vittiglia) e un nome che le “suona bene” e non va ancora di moda. Debutta al cinema nel ’55 con un piccolo ruolo nell’Adriana Lecouvreur di Guido Salvini a fianco di mostri sacri come Valentina Cortese, Gabriele Ferzetti e Memo Benassi, ma 5 anni dopo si incarna nella silenziosa musa di Antonioni per il primo dei quattro film che vanno sotto il segno dell’ “incomunicabilita’ “: L’avventura. Nei successivi quattro anni diventera’ una diva internazionale grazie a titoli indimenticabili come La notte, L’eclisse, Deserto rosso, ma l’incontro con Antonioni data gia’ dal 1957 quando presta la voce a Dorian Gray ne Il grido. Tutti i grandi registi internazionali la vogliono anche perche’ oltre a un volto bellissimo e misterioso sfoggia una voce roca e pastosa che (proprio come Claudia Cardinale negli stessi anni) afferma una diversita’ dalla scuola tradizionale di dizione.Eppure la cappa della donna misteriosa e algida non fa per lei, proprio come l’immagine di star distante e inconoscibile. Negli stessi anni ’60 si e’ cimentata piu’ volte con la tv ed ha avuto un riconoscimento speciale con la partecipazione alla tormentata giuria del festival di Cannes del 1968 quando si dimette dal suo ruolo in solidarieta’ ai contestatori della Nouvelle Vague. E’ in questo momento che decide di dare un taglio alla sua immagine piu’ consolidata e abbraccia l’idea della commedia grazie a Mario Monicelli che la vuole protagonista de La ragazza con la pistola. Il successo e’ popolare, immediato, contagioso. In pieno ’68, l’emancipazione della timida siciliana Assunta Patane’ che insegue fino in Inghilterra l’uomo che l’ha disonorata (Carlo Giuffre’ ) per poi capire che si puo’ essere libere e onorate anche senza passare per il delitto d’onore, fa rumore e il regista estrae dalla Vitti un talento luminoso e inatteso che presto le permettera’ di battersi da pari a pari con i colonnelli della commedia all’italiana. Unica donna vincente con le loro stesse armi e inalterata femminilita’ in un mondo di maschi piu’ o meno misogini, Monica Vitti domina nel cinema italiano degli anni ’70. Si permette stravaganze di qualita’ (come nei ruoli cuciti sul suo fascino da Miklos Jacso’, Luis Bunuel, Andre’ Cayatte), lavora coi grandi italiani (da Dino Risi a Ettore Scola, da Monicelli al Luigi Magni de La Tosca), affianca Antonioni nella sperimentazione elettronica de Il mistero di Oberwald), trionfa in coppia con Alberto Sordi (specie grazie a Polvere di stelle diretto da Albertone), spinge al debutto dietro la macchina da presa prima Carlo Di Palma (il grande direttore della fotografia che e’ diventato il suo compagno) e poi il fotografo Roberto Russo che con lei debutta da regista con Flirt che le fa vincere il premio come migliore attrice a Berlino nel 1983. Insieme al Leone d’oro alla carriera che nel 1995 le viene dato da Gillo Pontecorvo alla Mostra di Venezia e’ uno dei maggiori riconoscimenti internazionali che affiancano i 5 David, 12 Globi d’oro e i 3 Nastri d’argento guadagnati in patria. Mai ferma nella sua sete di vita e di sfida conquista anche le platee televisive insieme a Mina (Milleluci nel ’74 e Domenica in vent’anni dopo), scrive due libri autobiografici, firma la sua unica regia (Scandalo segreto) nel 1990, porta in teatro la grande commedia americana da La strana coppia a Prima pagina. All’alba del nuovo secolo il vulcano si spegne, quasi inavvertitamente e solo la dedizione del marito Roberto Russo la protegge dalla curiosita’ morbosa dei paparazzi. Cosi’ oggi la possiamo vedere e ricordare, immortale, nella pienezza della sua arte e della sua vitalita’ : con quella risata calda, di gola, senza affettazione, che estrarrebbe dal cilindro vedendo le mille celebrazioni, mostre, omaggi a lei dedicati ancora nei mesi della fine del 2021 in occasione dei suoi 90 anni.

Il 20 febbraio è stata trovata morta a Hollywood l’attrice Lindsey Erin Pearlman, 43 anni. La donna, che ha recitato anche nella famosa serie General Hospital, in American Housewife e altre fiction, è stata trovata senza vita pochi giorni dopo la denuncia della sua scomparsa a Los Angeles. La polizia aveva diffuso pubblicamente le sue foto nel tentativo di trovare l’attrice, che era stata vista l’ultima volta domenica scorsa intorno a mezzogiorno. Il corpo è stato trovato venerdì mattina in un quartiere residenziale di Hollywood. La polizia sta indagando sulle cause della morte (non ancora accertate dal medico legale) e sulle circostanze della scomparsa della donna. Lindsey Erin Pearlman aveva avuto ruoli anche nella versione tv di “The Purge« e in »Chicago Justice«, e vantava una vasta esperienza di teatro a Chicago, città di cui è originaria.

Il 17 marzo è morta un’attrice ucraina, Oksana Shvets, 67 anni, nota per il suo lavoro sul grande schermo e nel teatro, è rimasta uccisa in un attacco missilistico russo a Kiev. Lo rende noto il teatro locale, lo Young Theatre. Veterana del palcoscenico e dello schermo da decenni, all’attrice era stato conferito uno dei più alti riconoscimenti artistici nel suo Paese per il suo costante impegno a teatro.

Il 18 aprile è morta morta a 77 anni in una clinica romana Catherine Spaak: malata da tempo, l’attrice, conduttrice, cantante, ballerina e scrittrice è stata colpita da un’emorragia cerebrale. La Spaak era nata in Francia, a Boulogne-Billancourt il 3 aprile del 1945 da una famiglia belga. Naturalizzata italiana, qui aveva ha conosciuto la fama negli anni Sessanta e Settanta. Il suo debutto nel cinema italiano ad appena 15 anni, nel film Dolci inganni di Alberto Lattuada. La consacrazione è arrivata con La voglia matta di Luciano Salce e soprattutto con Il sorpasso di Dino Risi. Da non dimenticare la sua partecipazione ad altre pellicole amatissime dagli italiani come L’armata Brancaleone di Mario Monicelli e Febbre da cavallo. Nella musica trovò il successo grazie soprattutto alla cover di Tous les garçons et les filles di Françoise Hardy e L’esercito del surf. Negli Anni 80 trovò spazio anche nel piccolo schermo: fu la prima conduttrice di Forum che guidò per le edizioni del 1985 e 1986 ma soprattutto volto di Harem che, su Raitre, fu il primo vero talk al femminile, quindi alcune partecipazioni in Un posto al sole e Un medico in famiglia e persino una breve partecipazione all’Isola dei famosi 2015 che lasciò dopo poco tempo dall’inizio. Catherine Spaak riempì le pagine di rotocalchi e settimanali anche grazie alla sua movimentata vita sentimentale. È stata infatti sposata quattro volte. La prima negli anni Sessanta con Fabrizio Capucci, incontrato sul set della pellicola La voglia matta, da cui ebbe una figlia, Sabrina. Più tardi, dal 1972 al 1979, con Johnny Dorelli, da cui ha avuto un altro figlio, Gabriele. Quindi con l’architetto Daniele Rey, dal 1993 al 2010, e tre anni più tardi con Vladimiro Tuselli, che lasciò nel 2020.

Il 19 aprile è morta a Roma Ludovica Bargellini, attrice di 35 anni nota per avere partecipato alla serie tv di Paolo Sorrentino, The Young Pope. Ludovica Bargellini è rimasta vittima di un incidente con la sua auto nella Capitale: all’incrocio tra via Colombo e via Grotta Perfetta è andata a sbattere contro un muro. Secondo le prime ipotesi, l’attrice sarebbe stata colta da un colpo di sonno. Ludovica Bargellini era originaria di Pistoia e si era trasferita a Roma per studiare recitazione presso il Centro Sperimentale di cinematografia. Aveva lavorato come modella e si era formata come attrice al Teatro Azione con Michael Margotta e Doris Hicks. Poi, nel 2016, la serie televisiva Sky, The Young Pope, cui erano seguite partecipazioni in altri film, come come Palato assoluto, di Francesco Falaschi, e Non c’è tempo per gli eroi, di Andrea Mugnaini. Nel corso della sua breve carriera, Ludovica Bargellini aveva prestato il suo volto ad alcuni spot pubblicitari: da Campari a Now Tv. Non è ancora chiara la dinamica dell’incidente: le telecamere di videosorveglianza della zona sono al vaglio degli investigatori.

Il 27 aprile Jossara Jinaro si è spenta a 48 anni: l’annuncio della sua scomparsa è stato dato dalla famiglia su Facebook. Giovanissima, con un sorriso meraviglioso e un grande talento nella recitazione, la Jinaro ha combattuto a lungo contro il cancro. Jossara Jinaro è stata un’attrice di grandissimo talento: sono numerose le serie e le pellicole a cui ha preso parte nel corso della sua vita. L’attrice brasiliana ha iniziato a lavorare a Hollywood da giovanissima, nel lontano 1998, in alcuni programmi. In Viva Vegas ha preso parte con il suo primo ruolo ricorrente, e in seguito è arrivato il successo planetario. Indubbiamente, uno dei ruoli più iconici è stato quello dell’infermiera Andrea Clemente in E.R. – Medici in prima linea, in cui ha recitato anche George Clooney. Ma è stata anche presente nella famosa serie Giudice Amy e Passions, e proprio per quest’ultima ha ricevuto una nomination ai GLAAD Awards, a testimonianza della sua bravura. Abbiamo avuto modo di vederla anche in La casa del Diavolo e in World Trade Center. Sposata con Matt Bogado, la coppia ha avuto due figli: Liam ed Emrys. Da sempre una grande appassionata di danza e ballo, sul suo profilo Instagram condivideva e alternava spesso momenti insieme alla sua famiglia o ai traguardi lavorativi. Dalle foto con i figli fino alle apparizioni sui red carpet, Jossara sta lasciando un grande vuoto a Hollywood, nel cuore dei suoi cari e dei fan che l’hanno sempre sostenuta.

Il 19 maggio l’attrice statunitense Marnie Schulenburg, volto noto delle soap opera, che ha interpretato Alison Stewart in «Così gira il mondo» e Jo Sullivan nel reboot di «One Life to Live», è morta a Bloomfield, nel New Jersey: aveva 37 anni. Schulenberg si è spenta dopo una battaglia contro il cancro al seno metastatico al quarto stadio. Lascia il marito Zack Robidas, attore delle serie tv «Succession» e «Sorry for Your Loss», e la figlia Coda, di 2 anni. Il tumore le era stato diagnosticato cinque mesi dopo la nascita di Coda, nel dicembre 2019. La coppia si era sposata nel settembre 2013. Era stata dimessa dall’ospedale il giorno della festa della mamma per tornare a casa con il marito e la figlia. La Schulenburg aveva fatto il suo debutto nella soap «Febbre d’amore» nel 2006, lo stesso anno in cui ha iniziato a recitare in «Così gira il mondo»: per il ruolo di Alison Stewart, interpretato fino al 2010, ha ricevuto una nomination ai Daytime Emmy. Figlia di un musicista, Schulenburg era nata il 21 maggio 1984 a Cape Cod, nel Massachusetts. Ha frequentato la Barnstable High School in Massachusetts e la DeSales University a Center Valley, in Pennsylvania, laureandosi in teatro nel 2006. Giovanissima ginnasta, prima di approdare in televisione ha recitato per il Pennsylvania Shakespeare Festival e per la Dramatists Guild of America di New York. Schulenburg ha recitato come guest-star in show di prima serata come «Blue Bloods», «Fringe, Elementary», «Royal Pains» e «The Good Fight» e nella prossima stagione interpreterà Maggie Caysen nella serie drammatica «City on a Hill».

Il 25 maggio è morto Ray Liotta è morto a 67 anni. Lo confermano i media americani. L’attore di “Quei bravi ragazzi” (Goodfellas) sarebbe deceduto nel sonno mentre si trovava nella Repubblica Dominicana. Liotta era prossimo alle nozze con Jacy Nittolo. La presenza di Ray Liotta nella Repubblica Dominicana era legata al lavoro, proprio lì stava girando un film intitolato “Dangerous Waters”. Secondo una fonte vicina all’artista non ci sarebbero aspetti sospetti sulla morte, sopraggiunta durante il sonno notturno. La sua fidanzata Jacy Nittolo era con lui durante le riprese. Liotta è noto soprattutto per il suo ruolo da protagonista nel capolavoro di Martin Scorsese del 1990, “Quei bravi ragazzi” (Goodfellas), dove interpretava il mafioso Henry Hill al fianco di Robert De Niro e Joe Pesci. Il successo di quel film gli ha aperto le porte di Hollywood. È anche noto per molti altri ruoli iconici in “L’uomo dei sogni”, “Cop Land”, “Una moglie per papà” e “Blow”. Liotta lascia una figlia, Karsen e la fidanzata Jacy Nittolo, che lo aveva seguito sul set ai Caraibi. Liotta stava vivendo un momento di grande rinascita. Gli ultimi suoi impegni cinematografici includono “I molti santi del New Jersey”, “Storia di un matrimonio” – per il quale ha ricevuto un Indie Spirit Award – e “No Sudden Move”. Aveva finito di girare “Cocaine Bear”, diretto da Elizabeth Banks, e avrebbe dovuto recitare nel film dal titolo provvisorio “The Substance” al fianco di Demi Moore e Margaret Qualley.

Il 3 giugno è morta Liliana De Curtis, aveva 89 anni. Era la figlia di Totò e Diana Rogliani. Doveva il suo nome al papà, che lo aveva scelto in ricordo di una sua precedente relazione: prima di incontrare la moglie, infatti, era stato sentimentalmente legato a Liliana Castagnola, che per lui si tolse la vita (qui la sua storia). Sin da piccolina, con il suo carattere ribelle aveva dato del filo da torcere in famiglia. Papà Antonio, una figura imponente e autoritaria, aveva avuto per lei un’educazione molto severa, ma non era riuscito a dissuaderla da quello che è stato il suo gesto di ribellione più grande: sposarsi ancora giovanissima. “Adoravo papà, ma tra le pareti domestiche era un uomo difficile” – aveva raccontato Liliana, in una vecchia intervista – “Sono convinta che il mio matrimonio a soli 18 anni sia stato proprio un modo per sfuggire al suo affetto fin troppo possessivo”. Nel 1951, la ragazza convolò a nozze con il produttore cinematografico Gianni Buffardi, da cui ebbe due figli: Antonio Salvatore, da tutti chiamato Antonello, e Diana. “Mio marito era un uomo attraente, ma certamente negato per la vita famigliare” – aveva ammesso, parlando della separazione arrivata pochi anni dopo il matrimonio. Rimasta sola con i figli, Liliana aveva poi incontrato l’uomo che le aveva fatto ritrovare il sorriso. Innamoratasi perdutamente di Sergio Anticoli, decise di lasciare Roma e tutti i suoi affetti per cercare la felicità. All’epoca, infatti, entrambi erano ancora sposati e in attesa di divorzio. Insieme volarono in Sudafrica, dove poterono coronare il loro sogno d’amore, ma a costo di grandi sacrifici. Liliana dovette rinunciare ad Antonello e Diana, che decisero di rimanere in Italia con il padre. A Johannesburg, la figlia di Totò riuscì a farsi una nuova vita e aprì persino due ristoranti, che ebbero grande successo. La vita aveva in serbo ancora molte sorprese per Liliana. Nel 1970, dal suo amore per Sergio nacque la figlia Elena. Nel frattempo, il suo impegno per riallacciare (e poi mantenere vivi) i rapporti con i suoi ragazzi rimasti a Roma non si era mai interrotto. Da una parte c’era Antonello: un uomo riservato e dall’animo sensibile, che scrisse un libro raccontando la storia dei suoi antenati (tra cui ovviamente Totò). Dall’altra, Diana: spirito ribelle – proprio come sua mamma -, ad appena 14 anni fuggì di casa per tentare la carriera nel cinema. Nel 2011 si spense prematuramente, a causa di un brutto male. Anche il primo marito di Liliana morì molto giovane: aveva appena 49 anni quando, a seguito di un bagno nel Tevere, contrasse la leptospirosi che non gli lasciò scampo. La figlia di Totò visse sempre circondata dall’amore dei suoi cari. Anche una volta rinunciato alla carriera di attrice, fu spesso ospite in tv e in eventi di spicco, ricordando suo padre. Nel 2011 fu invitata al Festival Internazionale del Film di Roma, accanto ad Alessandro Siani, per il restauro del primo film in 3D della storia del cinema italiano, interpretato proprio da Totò nel 1953. Il 3 giugno 2022, Liliana De Curtis se n’è andata nella sua casa di Roma, assistita sino all’ultimo momento dalla figlia Elena. Ma rimarrà per sempre vivo il suo ricordo, accanto a quello del suo immortale papà.

Il 22 luglio Shonka Dukureh — che nel film «Elvis» di Baz Luhrmann ha interpretato «Big Mama» Thornton, la cantautrice R&B che registrò «Hound Dog» nel 1952, prima che diventasse un successo di Elvis Presley — non c’era più nulla da fare. Come riporta il tweet della polizia locale sul corpo della 44enne cantante e attrice non sono state trovate tracce di violenza e la sua morte non presenta alcuna anomalia, ma si aspetta l’esito dell’autopsia per determinare la causa del decesso. Nata a Charlotte, in Carolina del Sud, la Dukureh si era poi spostata a Nashville, dove si era laureata alla Fisk University in teatro e aveva anche conseguito un master in pedagogia (per alcuni anni aveva insegnato alla Buena Vista Elementary). Nella sua carriera di cantante gospel la Dukureh si era esibita con Nick Cave, Jamie Lidell e the Royal Pharaohs, Mike Farris, Pete Rock, Smoke Dza e Bahamas. Secondo quanto riferisce il suo sito, a breve avrebbe pubblicato il suo primo album che — parole di Shonka — sarebbe stato «un tributo al genere musicale blues, per celebrare quegli artisti e musicisti pionieri che hanno aperto la strada alla rivoluzione della musica rock’n roll».

Il 6 gennaio il regista e sceneggiatore statunitense Peter Bogdanovich, nominato all’Oscar per “L’ultimo spettacolo”, la cui carriera comprende successi come “Ma papà ti manda sola?” e “Paper Moon – Luna di carta”, è morto oggi all’età di 82 anni per cause naturali nella sua casa di Los Angeles. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla figlia Antonia Bogdanovich a “The Hollywood Reporter”. Arrivato alla regia dopo un’intensa attività di critico, già nel film che lo rese noto, “The last picture show” (L’ultimo spettacolo, 1971), Bogdanovich riproponeva moduli di un cinema d’epoca, in cui la nostalgia del passato (e quindi del perduto) veniva filtrata attraverso la sua conoscenza della storia di Hollywood. Il dramma in bianco e nero ambientato in una cittadina del Texas ottenne otto nomination agli Oscar – tra cui quelle per la regia e la sceneggiatura (condivisa con Larry McMurtry) per lui – e le statuette per i migliori attori non protagonisti per Cloris Leachman e Ben Johnson. Questo amore un po’ nostalgico lo ha spinto in seguito a rifare generi classici del cinema americano: la commedia “Ma papà ti manda sola?” (1972) con Ryan O’Neal e Barbra Streisand; il cinema muto hollywoodiano di “Vecchia America” (1976) con O’Neal, Burt Reynolds e Tatum O’Neal. Il regista ha poi cercato di dare al ritratto di due personaggi un’allusività sociale come in “Paper moon – La luna di carta” (1973), con la fotografia in bianco e nero di László Kovács e come protagonisti Ryan e Tatum O’Neal, padre e figlia nella vita. La giovanissima attrice vinse l’Oscar alla migliore attrice non protagonista. Dopo aver ripreso un celebre romanzo di Henry James con “Daisy Miller” (1974), mantenendosi in un difficile equilibrio tra colta originalità e cinema di consumo, Peter Bogdanovich ha poi diretto “Finalmente arrivò l’amore” (1975), “Saint Jack” (1979), “…e tutti risero” (1981), “Dietro la maschera” (1985), “Illegalmente tuo” (1988), “Texasville” (1990), “Rumori fuori scena” (1992), “Quella cosa chiamata amore” (1993) “Hollywood Confidential” (2001) e “Tutto può accadere a Broadway” (2014). Nato a Kingston (New York) il 30 luglio 1939, da padre serbo e da madre austriaca di famiglia ebrea, Bogdanovich ha cominciato a studiare recitazione sotto la guida di Stella Adler dell’Actor Studio, per ottenere di lì a poco un incarico come programmatore dei film in proiezione al MoMa di New York. Successivamente è diventato regista, facendo fatto parte di quella scuola definita “New Hollywood” insieme a William Friedkin, Brian De Palma, George Lucas, Martin Scorsese, Michael Cimino e Francis Ford Coppola. Grande estimatore della tradizione hollywoodiana degli anni Trenta e Quaranta, con la quale ha stabilito un vero e proprio dialogo in qualità di critico, i film di Bogdanovich sono caratterizzati da uno stile sobrio e il ricorso alla citazione si rivela originale mezzo espressivo per una riflessione sul recente passato degli Stati Uniti che privilegia la dimensione dell’immaginario cinematografico. Nel 1979 ha ricevuto il premio Pasinetti alla Mostra del cinema di Venezia con “Saint Jack”. Ha scritto diversi libri sul cinema, spesso tratti da interviste con registi. Celebre è il suo “Il cinema di Orson Welles”, torrenziale conversazione con il regista di “Quarto potere”, ma importanti studi sono anche stati dedicati da Bogdanovich a Hitchcock, Howard Hawks, Fritz Lang, Allan Dwan e John Ford.

Il 6 gennaio morto a Gubbio, a 93 anni, Mariano Laurenti. Grande artigiano della commedia italiana, diresse tra il 1966 e il 1999 oltre 50 film. Il suo nome rimarrà per sempre legato al filone della commedia sexy con titoli come “Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda e tutta calda”, “La liceale nella classe dei ripetenti” e “L’onorevole con l’amante sotto il letto”. Negli anni 80 diresse anche Nino D’Angelo nei suoi primi film, tra cui “Un Jeans e una maglietta”. Le stelle della commedia sexy: Gloria Guida, la liceale più sensuale del cinema Nato a Roma il 15 aprile del 1929, Laurenti aveva esordito come aiuto regista negli anni 50, affiancando professionisti come Mauro Bolognini, Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque, Dino Risi e Steno. In particolare quest’ultimo aveva influito sulla sua formazione artistica. Il debutto come regista era arrivato nel 1966 con una commedia con Raimondo Vianello, “Il vostro superagente Flint”, parodia del genere spionistico. Dopo qualche musicarello e “I due maghi del pallone ” con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, nel 1972 era arrivato “Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda e tutta calda”. Film simbolo del fortunatissimo filone della commedia sexy, con una Edwige Fenech al massimo del suo splendore, il film aveva aperto a Laurenti una strada che avrebbe percorso per oltre un decennio. Dopo un altro film del filone boccaccesco-medievale, “La bella Antonia, prima monica e poi dimonia”, erano arrivati titoli di culto come “Il vizio di famiglia”, “La vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono”, “La compagna di banco”, “La liceale nella classe dei ripetenti”, “L’infermiera di notte”, “L’onorevole con l’amante sotto il letto”, solo citarne alcuni. Con comici come Lino Banfi, Pippo Franco, Mario Carotenuto, Gianfranco D’Angelo, Bombolo e Cannavale e Alvaro Vitali, e bellezze generosamente spogliate come la stessa Fenech, Gloria Guida, Lilli Carati, Nadia Cassini e Anna Maria Rizzoli, Laurenti ha firmato una lunga serie di pellicole all’epoca disprezzate e poi rivalutare con il tempo, e che comunque hanno creato vere e proprie icone del nostro cinema.

Il 7 gennaio è morto lo scrittore, attore, regista e sceneggiatore vicentino Vitaliano Trevisan. Aveva 61 anni. Era nato a Sandrigo il 12 dicembre 1960, negli ultimi anni si è diviso tra la sua Campodalbero di Crespadoro e una nuova vita nelle campagne della provincia di Pisa. Come scrittore aveva raggiunto il successo nazionale e la notorietà con il libro I Quindicimila passi nel 2002. Due mesi fa, a fine ottobre, era stato dimesso dal reparto di Psichiatria dell’ospedale di Montecchio Maggiore dopo un ricovero chiesto dalla sua compagna. Oggi il corpo senza vita di Trevisan è stato trovato nell’abitazione di Crespadoro, e sulle cause della tragedia ci sono alcune ipotesi fra le quali il mix di farmaci o anche il gesto volontario. Il 5 novembre scorso su «La Repubblica» aveva pubblicato la sua testimonianza «Io, un matto trattato senza pietà», scritta a seguito del ricovero coatto, in cui Trevisan denunciava le condizioni in cui stanno i pazienti. Nel 2003 era stato attore protagonista e co-sceneggiatore, del film Primo amore di Matteo Garrone, girato a Vicenza, in concorso al 54º Festival di Berlino. Nel 2016 è co-protagonista del film Senza lasciare traccia diretto da Gianclaudio Cappai. I suoi testi teatrali sono stati messi in scena da Valter Malosti, Renato Chiocca e Toni Servillo; di recente pubblicazione per Einaudi i Due monologhi, ossia Oscillazioni e Solo RH portato in scena nell’edizione del Festival delle Mura 2007 da Roberto Herlitzka. Nel settembre 2017, per la produzione del Teatro di Roma, un suo testo viene inserito nel progetto collettivo Ritratto di una nazione, in cui assieme a Trevisan partecipano altri drammaturghi italiani come Michela Murgia e Marco Martinelli, progetto con la regia di Fabrizio Arcuri.

Il 10 gennaio è morto Nicola Garofalo, in arte, Nicola Vox, il profeta della “Sicilia che balla”: il notissimo dj si è spento improvvisamente a 46 anni dopo una vita dedicata alla musica.

Il 15 febbraio è morto all’età di 75 anni il regista slovacco naturalizzato canadese Ivan Reitman. La sua popolarità sarà per sempre legata a “Ghostbusters”, di cui ha diretto i primi due film, nel 1984 e nel 1989, e prodotto il recente “Ghostbusters: Legacy”, diretto da suo figlio Jason. Reitman è morto nel sonno nella sua casa di Montecito, in California. Tra gli altri successi firmati dal regista ci sono “I gemelli”, con Danny DeVito e Arnold Schwarzenegger, e “Dave – Presidente per un giorno”. Come produttore nel suo curriculum ci sono i primi film di David Cronenberg e “Animal House”. Nato a Komarno il 27 ottobre del 1946 (all’epoca cittadina in Cecoslovacchia), Reitman emigrò in Canada con la famiglia ancora bambino. Subito dopo il diploma dalla McMaster University, cominciò a lavorare in numerosi film. Tra questi ci furono i titoli d’esordio di un giovane e visionario regista, David Cronenberg: “Il demone sotto la pelle” e “Rabid sete di sangue”. Ma la carriera di Reitman cambiò quando produsse nel 1978 “Animal House”, film diretto da John Landis che impose all’attenzione di tutti la stella di John Belushi. Reitman si legò subito al gruppo di attori gravitante attorno al Saturday Night Live. Bill Murray fu il protagonista del suo esordio da regista, “Polpette”, nel 1979, seguito da “Stripes – Un plotone di svitati” dove accanto a Murray c’era Harold Ramis. Proprio Ramis, insieme a Dan Aycroyd, sarà l’autore del soggetto e della sceneggiatura di “Ghostbusters – Gli acchiappafantasmi”. Reitman diresse anche il sequel, cinque anni più tardi, ma nel frattempo aveva firmato altre commedie di successo come “Pericolosamente insieme” e “I gemelli”. Con Arnold Schwarzenegger strinse un sodalizio che avrebbe portato a dirigerlo in altri due film apprezzati dal pubblico: “Un poliziotto alle elementari” e “Junior”. Dai primi anni 90 Reitman iniziò però a diradare l’attività da regista per tornare al primo amore, quello della produzione. E in quella veste firmò altri blockbuster come “Beethoven” e “Space Jam”. Ma il legame con il brand degli Acchiappafantasmi è rimasto per lui indissolubile. E così prima nel 2016 produsse il reboot poco fortunato diretto da Paul Feig e poi l’anno scorso il molto più apprezzato “Ghostbusters: Legacy”, la cui regia rimase un affare di famiglia venendo affidata al figlio Jason.

Il 3 luglio il britannico Peter Brook, regista, attore, regista e autore, è morto domenica 3 luglio all’età di 97 anni, ha detto il suo entourage. Una delle figure teatrali più influenti del XX secolo, ha reinventato l’arte della regia e teorizzato lo “spazio vuoto”. Il seguito dopo l’annuncio Stabilitosi in Francia dal 1974, aveva fondato il “Centro Internazionale per la Ricerca Teatrale” al teatro parigino delle Bouffes du Nord, un teatro di “proporzioni straordinarie, unico in Europa, che poi scoprimmo essere le stesse di Shakespeare’s Rose Theatre”, ha detto a Le Monde. “Sogno di una notte di mezza estate”, “La tempesta”, “Amleto”, “Re Lear”… Il teatro di Peter Brook era inseparabile da quello di William Shakespeare, che ha avuto molte volte sul palco. Questi articoli potrebbero interessarti Il terzo giorno del giubileo, i Duran Duran e Diana Ross per un gigantesco concerto a Londra Marilyn Monroe raccontata dal suo confidente, il poeta Norman Rosten La sua opera più famosa è “Il Mahabharata”, un’epopea di nove ore della mitologia indù (1985), adattata per il cinema nel 1989. Oltre alle opere teatrali, ha anche messo in scena diverse opere come “Il flauto magico” e ha realizzato una dozzina di film tra cui “Moderato Cantabile” (1960) e “Sua Maestà delle mosche” (1963), entrambi adattati da romanzi. La svolta di “Sogno di una notte di mezza estate” Nato a Londra il 21 marzo 1925, figlio di immigrati ebrei lituani, Peter Brook ha prodotto la sua prima produzione all’età di 17 anni. Se sogna il cinema, si dirige rapidamente verso il teatro. All’età di 20 anni, laureato a Oxford, era già regista professionista e, due anni dopo, le sue produzioni a Stratford-upon-Avon, città natale di Shakespeare, scatenarono passioni. A 30 anni dirige già grandi successi a Broadway. Il seguito dopo l’annuncio Per la Royal Shakespeare Company (RSC), ha messo in scena molti testi del “Bardo”, che per lui è “il filtro attraverso il quale passa l’esperienza della vita”. La sua “Marat/Sade” ha affascinato Londra e New York e gli è valso un Tony Award nel 1966. Ma alla fine degli anni ’60, dopo 40 successi teatrali in cui aveva diretto i più grandi, da Laurence Olivier a Orson Welles, Brook affermò di aver “esaurito le possibilità del teatro convenzionale” ed entrò in un periodo sperimentale. Adrian Lester interpreta il ruolo di Amleto al Bouffes du Nord di Parigi, 24 novembre 2020. Per molti, la sua sorprendente produzione di Sogno di una notte di mezza estate (1970) per l’RSC in una palestra a forma di cubo bianco è stata un punto di svolta. Spinge l’attrice Helen Mirren ad abbandonare la sua prima carriera mainstream per unirsi alla sua neonata compagnia a Parigi dove, fin dall’inizio, aspirava a lavorare con attori di culture diverse. In una costante ricerca di autenticità, viaggia in Africa, Iran o negli Stati Uniti e vi svolge un lavoro sperimentale incentrato sul “decondizionamento” dell’attore e sul rapporto con lo spettatore. Riporta dai suoi viaggi spettacoli di antologia come “The Iks” (1975), “The Conference of the Birds” (1979) o “The Mahabharata”. In tutte le creazioni (“Timon of Athens” (1974), “Measure for Measure” (1978), “the Cherry Orchard” (1981), “the Storm” (1990), “the Man who” (1993), ” Amleto” (2000) o “11 e 12” (2009), forgia uno stile sempre più puro e essenziale. Il seguito dopo l’annuncio Nel 1997, quando trionfò nel Regno Unito con “Oh Beautiful Days” di Samuel Beckett, i critici lo acclamarono come “il miglior regista che Londra non ha”. Negoziare con il destino Dopo un’avventura di oltre 35 anni alle Bouffes du Nord, Peter Brook ha lasciato la direzione del teatro nel 2010, all’età di 85 anni, pur continuando a mettere in scena produzioni lì. Goditi il ​​-50% il primo anno iscrivendosi a L’Obs con Google Il carismatico regista è stato scosso nel 2015 dalla morte della moglie, l’attrice Natasha Parry. “Cerchiamo di negoziare con il destino dicendo: ‘Riportala indietro per 30 secondi’…” Oltre alla sua fedele collaboratrice Marie-Hélène Estienne, Peter Brooke lascia due figli, il regista Simon Brook e la regista teatrale Irina Brook.

Il 19 gennaio la leggenda del calcio della Germania Est, Hans-Jürgen Dörner, è morto all’età di 70 anni, dopo aver lottato contro una lunga malattia.Nella giornata di mercoledì 19 gennaio 2022, si è spento all’età di 70 anni la leggenda del calcio della Germania Est, Hans-Jürgen Dörner, a Dresden. Sulla base delle informazioni sinora diffuse, è stato rivelato che l’ex calciatore era affetto da tempo da una grave malattia che ne ha, infine, decretato la morte. Nel corso della sua carriera, Hans-Jürgen Dörner ha giocato 100 partite con la Germania dell’Est: la squadra vinse la medaglia d’oro ai Giochi del 1976 che si tennero a Montreal. Per quanto riguarda la sua partecipazione ai club, Hans-Jürgen Dörner ha giocato esclusivamente in un unico club nel periodo di tempo compreso tra il 1969 e il 1985. In questo arco temporale, vinse cinque campionati e cinque coppe nazionali nella Germania Est. Inoltre, è considerato come il calciatore dei record con i gialloneri in quanto, durante la sua carriera calcistica, collezionò 558 presenze e una nomina a capitano onorario. Dopo il ritiro dal ruolo di giocatore, Dörner ha allenato per un breve periodo alcune squadre tra le quali figura il Werder Brema in Bundesliga e altri club.

Il 6 marzo un malore, forse un ictus a 76 anni si è portato via Pino Wilson, Giuseppe all’anagrafe, capitano della Lazio che nella stagione 1973-74 vinse il primo scudetto nella storia biancoceleste, con Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia. A darne notizia, la società sportiva. Il club biancoceleste ha inviato un messaggio alla famiglia. “La S.S. Lazio, il suo presidente, l’allenatore, i giocatori e tutto lo staff esprimono profondo cordoglio per la scomparsa del Capitano e si uniscono al dolore della famiglia”, scrivono. Wilson, che ha giocato nel ruolo di libero fino al 1983, chiuse la carriera con il record di 392 partite. Viveva a Roma, era rimasto un simbolo del mondo biancoceleste, era ancora un opinionista. Nato a Darlington, in Inghilterra, a pochi mesi la sua famiglia si trasferi’ a Napoli, città di origine della madre. Cominciò a giocare nell’Internapoli, dove in attacco c’era Chinaglia e con lui nel 1969 passò alla Lazio. Nel 1971, con l’arrivo di Maestrelli in panchina, divento’ uno dei pilastri della formazione che arrivo’ in A e in due anni conquisto’ scudetto. Wilson era anche nella spedizione azzurra al Mondiale in Germania nel 1974. Giocò con la Lazio fino al 1980, poi una parentesi ai Cosmos nella scia di Chinaglia e al Montreal.

L’11 marzo è morto Jürgen Grabowski, leggenda del calcio tedesco, è morto all’età di 77 anni, a Wiesbaden, città della Germania centro-occidentale, capitale del Land dell’Assia. Lo scrive la Dpa, che cita una dichiarazione della moglie.Grabowski è stato fra i campioni del mondo nella Nazionale tedesca, che conquistò il titolo domenica 7 luglio 1974, battendo in finale l’Olanda del calcio totale sul terreno dell’Olympiastadion di Monaco di Baviera per 2-1 (gol di Breitner su rigore e di Gerd Mueller, dopo il vantaggio ‘orange’ sempre su rigore di Johan Neeskens). Grabowski, ala tornante di spiccato dinamismo, fu inoltre fra i protagonisti della partita del secolo scorso fra Italia e Germania Ovest, vinta 4-3 dagli azzurri mercoledì 17 giugno 1970 e valida come semifinale della Coppa Jules Rimet, disputata sul terreno dello stadio Azteca di Città del Messico. Dal suo cross nacque il leggendario, momentaneo pareggio (1-1) di Karl-Heinz Schnellinger al 92′.

Il 29 marzo è morto Miguel Van Damme, portiere del Cercle Brugge. Aveva solo 28 anni questo giocatore talentuoso e ostinato contro la grave leucemia che lo aveva colpito e che, purtroppo, non è riuscito ad addomesticare. A Van Damme è stata diagnosticata la leucemia nel 2014 e, nonostante le terapie, la malattia si era ripresentata per ben due volte: attraverso i social aveva dato prova di vigore, umanità, addirittura fragilità ma sempre attaccamento alla vita. Sembrava si fosse ripreso, tanto che aveva potuto ricominciare a giocare, proprio con il suo club il Cercle Bruges.

Il 2 marzo è morto Silvio Longobucco, l’ex terzino di Juventus e Cagliari. Il calciatore molto noto negli anni ‘70/80 si è spento a 71 anni nella sua Scalea, in Calabria dopo una malattia. A Scalea Longobucco aveva concluso la sua carriera nel pallone ed era stato anche amministratore, ma di lui si ricorda soprattutto la lunga militanza come roccioso difensore nella “Vecchia Signora” e nel Cagliari. Longobucco vestì la maglia Juventus a partire dalla stagione 1971 e con i bianconeri giocò fino al 1975. E con la Juve Longobucco vinse ben tre scudetti a fronte di 47 presenze. Poi passò in Sardegna, dove come giocatore del Cagliari scese in campo per 7 stagioni e di fatto, nel suo ruolo di terzino, fu tra gli artefici della promozione in seria A nel 78/79. Dopo queste due squadre Silvio aveva giocato anche con il Torino e la Ternana. Nato a Scalea il 5 giugno 1951, Longobucco aveva lasciato un ricordo particolarmente forte nel Cagliari calcio, dove aveva giocato fino al 1982, collezionando 172 presenze e 3 gol. Fu attivo agonisticamente tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta e, dopo un primo indirizzo tattico come marcatore puro, si trasformò in terzino sinistro sull’onda dei grandi “fluidificanti” del tempo, in grado cioè anche di proporsi anche in appoggio al centrocampo.

Il 3 marzo, nel bar di Ostia che gestiva, è morto Giovanni Tiberi, ex calciatore ed ex attaccante anche della Ternana, è morto a soli 49 anni. Un’altra notizia luttuosa, per la Terni sportiva, all’indomani di quella della scomparsa di un altro ex calciatore, Silvio Longobucco. Tiberi, romano, è stato della Ternana dal 1997 al 2000. Primo anno con alcune presenze e poi la cessione in prestito alla Triestina. Poi, due stagioni con la maglia rossoverde, in serie B. 26 presenze in tutto con la squadra umbra con 4 gol segnati. Di questi, ce ne sta uno che i tifosi ternani ricordano particolarmente, quello segnato di testa al Torino nel 1998 al 90’ che regalò al Liberati la vittoria alla Ternana per 2-1 sui granata. Nel 2000 fu ceduto al Cosenza. Giocò fino al 2008 e chiuse la carriera con la maglia gialloblu della Viterbese. Lascia la moglie Marzia (sorella di Christian Silvestri, anche lui ex della Ternana ma anche ex difensore di serie A con Lecce e Catania) e tre figli. Alla Ternana era rimasto affezionato, al punto di avere pure un tatuaggio legato al simbolo della squadra rossoverde.

Il 6 aprile è morto Emiliano Mascetti, bandiera dell’Hellas Verona, era un gentiluomo. Era considerato un simbolo di eleganza, stile e garbo. Si è spento all’età di 79 anni, dopo una lunga malattia. Con l’Hellas Verona ha giocato 11 stagioni e ottenuto il record di reti segnate in Serie A (35), superato solo da Luca Toni nel 2015. Mascetti, considerato da tutti un vero gentiluomo, si è spento dopo una lunga malattia, all’età di 79 anni. Attraverso le pagine social è arrivato il cordoglio dell’Hellas Verona. “Il Presidente Setti e tutto l’HVFC piangono la scomparsa della Leggenda gialloblù Emiliano ‘Ciccio’ Mascetti, dapprima bandiera sul campo e poi Direttore Sportivo dello Scudetto. Un abbraccio colmo di affetto e commozione al figlio Matteo e a tutta la famiglia” hanno scritto sui social. Emiliano Mascetti è nato l’11 marzo 1943 a Como. Dopo aver debuttato nella squadra della sua città ha iniziato a giocare con il Pisa. Nel 1967 è arrivato il trasferimento al Verona, con cui ha conquistato la promozione in Serie A. Con l’Hellas ha giocato fino al 1980, tranne due stagioni al Torino. Ha conquistato tanti record: 330 presenze, con 46 gol, di cui 35 in Serie A. Capitano e simbolo del Verona, all’Hellas è tornato da direttore sportivo nell’età dell’oro culminata con lo scudetto del 1984-85, con le qualificazioni alle coppe europee e due finali di Coppa Italia. Emiliano Mascetti è stato un simbolo di tante epoche, un vero esempio di eleganza, stile e garbo, che ha segnato la storia del club.

Il 13 aprile Freddy Rincon, vecchia conoscenza del calcio italiano, è morto a causa delle conseguenze del grave incidente avuto lunedì scorso in Colombia. Giunto all’Imbanaco Clinic di Cali in condizioni disperate, è deceduto nella giornata di mercoledì. Aveva 56 anni. Il colombiano è stato coinvolto in uno spaventoso incidente con la sua auto travolta da un autobus mentre attraversava un incrocio. Ricoverato all’Imbanaco Clinic di Cali, le sue condizioni era apparse sin da subito disperate. Purtroppo, non c’è stato nulla da fare. Freddy Rincon è stato uno dei fenomeni della famosa “generazione d’oro” colombiana, ovvero la nazionale colombiana che, negli anni ’90, ha giocato in maniera stellare, diventando una delle migliori squadre in circolazione. Un team con fuoriclasse del calibro di Faustino Asprilla, René Higuita, Carlos Valderrama, Adolfo Valencia e, appunto, Freddy Rincon. Nato a Buonaventura, in Colombia il 14 agosto 1966, Freddy Rincon è stato una leggenda del calcio colombiano. Nel corso della sua lunga carriera, ha disputato tre edizioni della Coppa del Mondo e tre Copa America. A livello di club, ha avuto un’esperienza anche in Serie A, con la maglia azzurra del Napoli (stagione 1994/95), segnando sette reti. Ha anche giocato con la prestigiosa casacca del Real Madrid. Visto pure con le maglie di America di Cali, Palmeiras, Corinthians, Santos e Cruzeiro. Dopo 18 anni di onorata carriera, aveva deciso di intraprendere la carriera da allenatore e poi quella di commentatore televisivo.

Il 7 maggio è morto Dimitri Roveri, il capitano del Quingentole. Il calciatore di 27 anni ha avuto un malore ieri a Casalpoglio, in provincia di Mantova. Si tratta di un calciatore dilettante e considerato di grande talento: ha accusato un malore, nel pomeriggio di ieri, durante una partita ed è stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale San Raffaele di Milano. Dimitri, 27 anni, attaccante e capitano del Quingentole, stava disputando la partita dei play off del campionato Uisp Open League di Mantova sul campo del Casalpoglio, frazione di Castel Goffredo, nel mantovano. È morto in ospedale.

Il 9 maggio Jody Lukoki, esterno olandese di origini congolesi, è stato ritrovato senza vita in circostanze da chiarire. Lukoki, 29 anni appena, aveva già consolidato un’esperienza di altissimo livello nell’Ajax, Zwolle e Ludogorets, ma stava vivendo una fase della sua esistenza particolarmente turbolenta e non solo per vicende legate all’universo calcistico e a un problema fisico che lo tormentavano.

Non aveva sicuramente giovato, sul piano fisico, al suo percorso professionale la rottura del legamento crociato che non gli ha permesso di scendere in campo in questa stagione e che continuava a condizionare la sua carriera sportiva. Poi ci sono state anche le accuse di violenza domestica mosse dalla compagna, che hanno portato il Twente a negoziare subito col calciatore la risoluzione del contratto, arrivata lo scorso febbraio e a complicare anche dal punto di vista personale le cose. Anche l’Udinese si è unita ai messaggi pubblicati in ricordo di questo giovane attaccante. Lukoki era emigrato in Olanda dal Congo, con i suoi genitori e il fratello per sfuggire alla guerra che lacera il Paese. Aveva iniziato a giocare a calcio giovanissimo nello VVA/Spartaan di Haarlem, nel VV Young Boys di Bos en Lommer e nelle giovanili dell’Ajax, a partire dal 2003. Qui aveva debuttato per poi essere ceduto in prestito al Cambuur, la classica decisione dettata dalla voglia di formare un calciatore altrove, per farsi le ossa. Da qui era passato al campionato bulgaro, ingaggiato dal Ludogorets. Nel 2020 firma con i turchi dello Yeni Malatyaspor ma l’esperienza si rivela sfortunata: torna così in Olanda, per unirsi al Twente lo scorso luglio. Ma il contratto, come anticipato, viene risolto prima della scadenza.

Il 9 maggio è morto Antonio Salazar. Il corpo del giocatore è stato ritrovato nel bagagliaio della sua Chevrolet Cavalier, avvolta dalle fiamme. I Vigili del Fuoco hanno ritrovato all’interno del mezzo il corpo senza vita di Salazar. La Procura dello Stato di Jalisco (FGE) ha aperto un’indagine per ricostruire con esattezza ciò che è successo e che ha portato alla morte del calciatore messicano. Il corpo del 33enne era irriconoscibile. Ulteriori esami ne hanno accertato l’identità. La polizia ha fatto sapere che non era arrivata alcuna denuncia di furto che riguardasse l’auto di Salazar. Il sospetto è che il calciatore sia stato ucciso e poi riposto nel bagagliaio della sua Chevrolet, poi data alle fiamme.

Il 10 giugno Billel Benhammouda, giocatore della Nazionale africana, è scomparso in un tragico incidente stradale nelle score ore. 24enne, è deceduto insieme ad un amico, come comunicato dalla federazione locale nella giornata di venerdì. Il giocatore dell’USM Alger stava tornando a casa dopo aver partecipato a un’amichevole con la squadra professionistica algerina contro la Repubblica Democratica del Congo. Un match dedicato ai giocatori locali in vista delle prossime gare valide per la qualificazione alla Coppa d’Africa. Benhamouda, attaccante classe 1997, aveva fornito l’assist per il vantaggio e segnato il 2-0 nel match giocato contro il Congo DR e vinto dall’Algeria per tre a zero poche ore prima. Cresciuto nell’Alger, era reduce da due goal in campionato negli ultimi quattro incontri, che lo avevano portato a sette centri nel 2021/2022.

Il 12 giugno a 77 anni è morto ieri Bernd Bransch, il capitano della nazionale della Germania Est che durante i Mondiali del 1974, il 22 giugno ad Amburgo, batté i cugini dell’Ovest padroni di casa e poi campioni del mondo per 1-0 con un gol di Sparwasser, infliggendo loro l’unica sconfitta del torneo, e Bransch naturalmente era in campo. Nato a Halle, nell’attuale Land della Sassonia-Anhalt, ha collezionato 64 presenze e 3 gol in nazionale, più altre 8 presenze ai Giochi olimpici, in cui ha vinto il bronzo a Monaco 1972 (ancora una volta a casa dei cugini occidentali che furono battuti già allora per 3-2!) e l’oro a Montreal 1976, dopo il quale chiuse la sua carriera internazionale.

Il 17 giugno, due ciclisti sono stati travolti e uccisi da una Fiat Panda guidata una donna di 40 anni che viaggiava in compagnia della figlia di nove anni. I due ciclisti deceduti sono stati identificati come l’ex calciatore Alberto Catani, 42 anni, e la sua compagna Stefania Viterbo. Il drammatico incidente si è verificato nella Marche, in provincia di Ancona, a Marina di Montemarciano, in prossimità del lungomare. Nel corso della sua carriera, il centrocampista ha giocato nella Fano, esordendo in C2 a 16 anni. successivamente, ha fatto parte di squadre come Vis Pesaro, Biagio Nazzaro, Cuprense, Fabriano, Elpidiense e Real Vallesina. Da circa un decennio, aveva deciso di ritirarsi intraprendendo la carriera di allenatore della squadra giovanile di Marina.

Il 2 luglio l’ex portiere dei Rangers e della Scozia Andy Goram è morto all’età di 58 anni dopo una breve battaglia contro il cancro. L’ex portiere dei Gers aveva rivelato a maggio di aver ricevuto una diagnosi terminale di cancro all’esofago al quarto stadio e di avere meno di sei mesi di vita. Goram è ricordato per i suoi sette anni a Ibrox tra il 1991 e il 1998, quando fu cinque volte campione del campionato, oltre a vincere tre Coppe di Scozia e due Coppe di Lega scozzesi. Nella prima edizione della Champions League si rese protagonista di una serie di prestazioni impressionanti, aiutando i Rangers a raggiungere il secondo posto nel girone, a un punto dalla qualificazione alla finale. Dopo la fine della sua permanenza a Glasgow, Goram è diventato un giocatore di passaggio e ha vinto la Premier League nel 2001 dopo un breve periodo di prestito al Manchester United. A livello internazionale, ha registrato 43 presenze con la Scozia e ha fatto parte delle convocazioni per i Mondiali di Messico 1986 e Italia 1990, oltre che per Euro 1992 ed Euro 1996, quando era il portiere titolare. Goram è stato membro della Scottish Football Hall of Fame ed è stato nominato giocatore dell’anno dalla Scottish PFA e dai Football Writers nel 1992-93 per il suo impegno coi Rangers.

Il 18 luglio Francesco Rizzo, uno dei protagonisti del secondo scudetto della Fiorentina, nel 1968-69, è morto all’età di 79 anni. Poco più di un mese dopo la scomparsa di Giuseppe Brizi, viene a mancare un altro giocatore importante di quella squadra che aveva fatto sognare Firenze. Il contributo di Rizzo in quel campionato è stato davvero prezioso, anche per la sua capacità di adattarsi a più ruoli, ovvero ala destra durante l’assenza di Chirurgi, centrocampista e attaccante di fascia o mezzala. Rizzo è rimasto a Firenze per due stagioni, con 72 presenze e 12 reti. Francesco Rizzo era calabrese, nato il 30 maggio 1943 a Rovito. L’uomo è stato il primo calabrese ad indossare la maglia della Nazionale. Prima di vincere lo scudetto con la Fiorentina, è stato protagonista di un’altra impresa indimenticabile, ovvero la prima storica promozione in serie A del Cagliari, nel 1963-64.

Il primo gennaio è morto a 83 anni Calisto Tanzi, imprenditore la cui parabola è iniziata con la crescita della Parmalat ed è terminata con il crac del 2003 e i processi che ne seguirono. Da Collecchio riuscì a creare una multinazionale del latte, ma l’ambizione lo portò poi ad allargarsi dal settore alimentare (non solo latte ma anche conserve, merendine, yogurt) al turismo, alla tv e perfino al calcio. Portò il suo Parma ad alzare trofei sia in Italia che in Europa. Negli anni Novanta la Borsa, poi le acquisizioni, il ricorso al mercato dei titoli e infine il crac. Parmalat, secondo la definizione degli inquirenti, è diventata così “la più grande fabbrica di debiti della storia del capitalismo europeo”. Tanzi è stato condannato complessivamente a più di 20 anni di carcere in tre diversi procedimenti per aggiotaggio, bancarotta fraudolenta e per il crac di un’altra sua società, la Parmatour. Calisto Tanzi è nato a Collecchio, il piccolo paese a due passi da Parma in cui poi ha costruito il suo impero, il 17 novembre 1938. Diplomato in ragioneria, ha interrotto gli studi alla morte del padre per sostituirlo nella direzione di una piccola azienda familiare di salumi e conserve. Aveva 22 anni quando fondò nel 1961 la sua impresa del latte prendendo la vecchia azienda del nonno, a conduzione familiare. Tanzi intuì le potenzialità delle confezioni Tetra Pak e del procedimento UHT per il latte a lunga conservazione. Così trasformò la Parmalat in un’azienda leader anche a livello internazionale, con oltre 130 stabilimenti in tutto il mondo e un fatturato che a metà Anni 70 superava i 100 miliardi di lire. Dall’Australia al Sudafrica, dal Portogallo alla Colombia, dal Canada alla Romania, l’impero di Tanzi cresceva vertiginosamente. Legami a doppio filo anche con il mondo della politica e della finanza soprattutto nell’ambiente cattolico. In quel periodo cominceranno anche le grandi sponsorizzazioni nello sport, dallo sci alla Formula 1. Nel 1984 viene anche nominato cavaliere del lavoro, poi fu ‘declassato’ da Giorgio Napolitano.

Il 3 gennaio è morto Igor Bogdanov è morto all’età di 72 anni a pochi giorni di distanza dal fratello gemello Grichka: entrambi avevano contratto il coronavirus ed erano stati ricoverati in terapia intensiva a causa dell’aggravarsi del loro quadro clinico. I fratelli Bogdanov avevano scelto di non vaccinarsi contro il SARS-CoV-2. I fratelli Bogdanov erano ricoverati in terapia intensiva in gravi condizioni, dopo aver scoperto di essere positivi al Covid. Igor Yourievitch Bogdanoff e Grégoire “Grichka” Yourievitch Bogdanoff erano presentatori televisivi gemelli francesi, produttori e saggisti scientifici che, dagli anni ’70 in poi, hanno presentato vari argomenti di fantascienza, divulgazione scientifica e cosmologia.

Il 7 gennaio è morta Gloria Piedimonte, intorno alla mezzanotte tra giovedì 6 e venerdì 7 gennaio all’ospedale di Mantova. Attrice, cantante e showgirl, era nota al grande pubblico per aver interpretato l’indimenticabile ‘Guapa‘ della trasmissione ‘Discoring‘. Era stata ricoverata per complicanze dovute al Covid: aveva appena 66 anni. Gloria Piedimonte era nata a Mantova il 27 maggio del 1955. Aveva lasciato la provincia per trasferirsi, molto giovane, a Roma: il sogno era quello di entrare nel mondo del cinema. Venne notata da Gianni Boncompagni, che utilizzò la sua immagine nella sigla di Discoring del 1978, in cui si muoveva ai ritmi del pezzo ‘Baila guapa‘ dei Bus Connection, interpretato dallo stesso Boncompagni, che la incitava per tutto il brano. In quel periodo, la Piedimonte recitava anche in teatro accanto a Erminio Macario e Sylva Koscina. Sempre nel 1978 aveva inciso due singoli per la Durium: ‘Ping pong space’, un pezzo disco, e ‘Uno’, scritto da Andrea Lo Vecchio. Entrambe le canzoni ottennero un buon successo anche all’estero. Il 1979 è stato invece l’anno del suo primo film come protagonista, dal titolo ‘Baila guapa‘. Dopo altre comparse in film e fotoromanzi, la Piedimonte aveva poi deciso di pubblicare un altro singolo, nel 1983, dal titolo ‘Ma che bella serata’. Ottenne un grande successo anche in Germania. Tra le apparizioni televisive più recenti si ricordano quella a ‘I migliori anni’ (2009) su Rai 1, condotto da Carlo Conti, e a ‘Una poltrona per due’. Negli ultimi anni l’artista si era data all’arte, realizzando alcune tele che sono state inserite anche in delle mostre.

Il 7 gennaio Cristian Ghilli è morto ad appena 19 anni. Cristian, campione mondiale juniores di skeet, era rimasto ferito gravemente a conclusione di una battuta di caccia con gli amici nei boschi di Montecatini Val di Cecina, in provincia di Pisa. Un avvenimento drammatico quanto imprevisto: Ghilli, secondo la ricostruzione riportata da La Nazione, è rimasto ferito da un colpo di fucile all’addome e alla mano partito accidentalmente dal suo fucile, mentre raccoglieva i bossoli della battuta di caccia organizzata con alcuni amici nel giorno dell’Epifania. Le condizioni del ragazzo sono apparse subito molto gravi: trasferito in ospedale in codice rosso dopo l’intervento del 118, i medici hanno tentato un disperato intervento chirurgico all’addome per arrestare la grave emorragia in corso, senza riuscire a salvare la vita a questo giovane campione, che avrebbe dovuto compiere a breve 20 anni. Cristian Ghilli avrebbe compiuto 20 anni a breve, come ricordavamo: era infatti nato nel 2002 a Pontedera e viveva a Ponteginori, con la sua famiglia. Fin da bambino aveva coltivato la passione per il tiro a volo, incasellando un successo dietro l’altro. L’ex campione olimpico Andrea Benelli lo aveva inserito nella squadra italiana che ha partecipato al campionato del mondo jr a Lima, in Perù dove Ghilli si era laureato campione del mondo a squadre, specialità skeet, campione del mondo mix team in coppia con Sara Bongini e medaglia di bronzo individuale.

Il 9 gennaio è morto Michael Lang, l’impresario che nel 1969 con tre amici organizzò il festival di Woodstock, è morto di cancro in un ospedale di New York. Lang, che aveva 77 anni, era apparso in pubblico l’ultima volta per i 50 anni del leggendario raduno a base di pace e musica (condite di sesso, droga e una pioggia torrenziale) che definì una generazione e cambiò per sempre la storia della musica. L’impresario aveva tentato di organizzare un nuovo maxiconcerto nei giorni del 50esimo anniversario, ma l’evento era stato cancellato dopo vari tentativi. Impossibile replicare la magia di quei giorni: dal 16 al 18 agosto del 1969 nel campo di proprietà di Max Yasgur a Bethel, nello stato di New York, un line up che includeva una trentina di band e artisti tra cui i Grateful Dead, i Who, Santana, Janis Joplin, Joan Baez, Jimi Hendrix, Joe Cocker Crosby Still Nash and Young e i Jefferson Airplane divenne il simbolo di un’era di contestazioni e profondi cambiamenti nella società.

Il 10 gennaio è morta Silvia Tortora, aveva 59 anni. Figlia di Enzo Tortora, era nata a Roma il 14 novembre 1962. E’ deceduta nella notte in una clinica romana. Giornalista televisiva e della carta stampata, aveva lavorato con Giovanni Minoli a ‘Mixer’ e per ‘La storia siamo noi’ e collaborato con il settimanale Epoca. Figlia del giornalista e conduttore televisivo Enzo Tortora e della sua seconda moglie Miranda Fantacci, ha collaborato con Giovanni Minoli a ‘Mixer’ e dal 2004, sempre con Minoli, al programma ‘La storia siamo noi’, realizzando varie puntate riguardanti Mia Martini, Renato Vallanzasca, Il Terremoto a San Giuliano di Puglia, Francesco Totti, Vendute (storia di baby prostitute), C’era una volta Portobello, Corrado (il grande inventore della Corrida), La prima vittima (storia di Luigi Calabresi), e Non ci resta che Benigni (storia del comico toscano). A partire da giugno 2009 ha condotto Big insieme ad Annalisa Bruchi, in onda su Rai. Ha lavorato al settimanale Epoca dal 1988 al 1997. Nel 1999 ha vinto il nastro d’argento al Festival di Taormina come “migliore soggetto cinematografico” con il film di Maurizio Zaccaro, ‘Un uomo perbene’. Nel 2002 ha curato il libro ‘Cara Silvia’, edito da Marsilio e nel 2006, sempre con Marsilio, ha pubblicato ‘Bambini cattivi’. Era sposata dal 1990 con l’attore francese Philippe Leroy, dal quale ha avuto due figli.

L’11 gennaio morto all’età di 65 anni il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Soltanto lunedì era stata diffusa la notizia del suo ricovero in Italia per il sopraggiungere di una grave complicanza dovuta ad una disfunzione del sistema immunitario. Prima volto familiare del Tg1 e poi presidente del Parlamento europeo, quella di David Maria Sassoli è stata una vita divisa fra il giornalismo e la politica, a cavallo fra Firenze, Roma e Bruxelles fino a diventare nel 2019 presidente dell’Europarlamento. Nato nel capoluogo toscano il 30 maggio 1956, ha frequentato da giovane l’Agesci, Associazione guide e scout cattolici italiani. Il padre era un parrocchiano di don Milani e lui ha cominciato fin da giovane a lavorare per piccoli giornali e in agenzie di stampa prima di passare a Il Giorno e poi fare il grande salto in Rai. Fiorentino di nascita ma romano di adozione, era diventato un volto noto alle famiglie italiane soprattutto per la sua conduzione del Tg della rete ammiraglia della Rai, di cui è stato anche vicedirettore durante l’era di Gianni Riotta. Una carriera che si chiuse nel 2009, quando Sassoli decise di dedicarsi alla politica. Candidato come capolista del neonato Partito democratico nella circoscrizione Italia centrale, il presidente del Pe venne eletto la prima volta con oltre 400mila preferenze e, forte di questo successo, diventa subito il capo della delegazione del Pd al Parlamento europeo. Nel 2013 il tentativo di rientrare in Italia come sindaco di Roma si incaglia nelle primarie del Pd. Candidato in quota franceschiniana, Sassoli si piazza secondo, battendo il futuro presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ma ottenendo la metà dei voti di Ignazio Marino. Dopo un decennio passato fra i banchi di Bruxelles e Strasburgo, Sassoli – giunto alla sua terza legislatura – era uno degli eurodeputati più esperti. Nel 2014-2019 ricoprì la carica di vicepresidente per l’intero mandato, occupandosi soprattutto di trasporti (il cosiddetto terzo pacchetto ferroviario), politica euro-mediterranea e bilancio. Il 3 luglio del 2019 David Sassoli, all’inizio del suo terzo mandato, venne eletto Presidente dell’assemblea. Nel suo discorso di apertura iniziale, Sassoli ribadì l’importanza di agire per contrastare il cambiamento climatico, la necessità di una politica più vicina ai cittadini e ai loro bisogni, soprattutto ai giovani, e l’urgenza di rafforzare la democrazia parlamentare e di promuovere i valori europei. Durante la situazione eccezionale e senza precedenti causata dalla pandemia di Covid-19, Sassoli si è impegnato affinché il Parlamento europeo rimanesse aperto e continuasse ad essere operativo, introducendo, già nel marzo 2020, dibattiti e votazioni a distanza, primo Parlamento al mondo a farlo. Sposato e padre di due figli, tifoso della Fiorentina, Sassoli viveva a Roma ma appena possibile si spostava nella casa di Sutri, un delizioso paese medievale della Tuscia lungo la via Cassia, una trentina di chilometri a nord della capitale, per coltivare le sue passioni per il giardinaggio e le buone letture.

Il 15 gennaio è morto Nino Cerruti, aveva 91 anni. Nino Cerruti era un uomo così speciale che prima d’incontrarlo le donne si rimettevano il rossetto e gli uomini controllavano di non avere macchie sulla cravatta. La sua impeccabile eleganza veniva infatti da un giusto mix tra intelligenza, ironia, spirito d’osservazione, culto e cultura del bello. Nato a Biella il 23 settembre 1930, si è spento ieri sera a Vercelli per le complicazioni di un intervento all’anca. Nel corso della sua lunga vita e irripetibile carriera ha ottenuto risultati straordinari come vestire più di 200 film, scoprire e lanciare stilisti di fama mondiale (uno per tutti Giorgio Armani che assunse nel 1965 per disegnare le collezioni del marchio Hitman) oltre a dirigere il celeberrimo lanificio fondato nel 1881 a Biella dai fratelli Stefano, Antonio e Quintino Cerruti.

Il 16 gennaio è morta l’ultima figlia (naturale) di Mussolini. Elena Curti si è spenta a quasi cent’anni nella sua casa di Acquapendente (Viterbo): ha fatto in tempo ad arrivare al 2022, centenario della marcia su Roma, ma non al proprio compleanno del 19 ottobre, nove giorni prima dell’impresa fascista. Era figlia della bellissima Angela Cucciati, una sarta milanese con cui Mussolini ebbe un’avventura alla fine del 1921. Si conobbero perché la donna andò a chiedergli di far uscire di prigione il marito squadrista Bruno Curti. Elena Curti seppe dalla madre di essere una figlia segreta di Benito solo quando compì 18 anni. Mussolini la volle conoscere, e durante la Repubblica Sociale la riceveva ogni giovedì a Salò. Elena lavorava nella segreteria di Pavolini. Claretta Petacci, l’amante del Duce, si insospettì: pensava che quella bella ragazza bionda fosse una sua ennesima avventura, e gli ordinò di allontanarla. Ma il 27 aprile 1945, durante la fuga di Dongo, c’era Elena e non Claretta accanto a Mussolini sulla autoblindo nella prima parte del viaggio. Poi, quando il duce fu invitato dai tedeschi a montare su un loro camion travestito da soldato, sopraggiunse Claretta, che seguiva la colonna dei gerarchi fascisti in auto col fratello Marcello, la cognata e i nipotini. Vide Elena e cominciò a inveire. Si calmò solo quando le spiegarono chi fosse veramente la ragazza. La scena è stata immortalata da Pasquale Squitieri nel suo film ‘Claretta’ (1984).Dopo cinque mesi di carcere Elena Curti fu liberata. Si sposò, emigrò in Spagna ed ebbe fortuna con un’azienda che produceva mobili. Una ventina d’anni fa tornò in Italia e scrisse le sue memorie: ‘Il chiodo a tre punte’ (2003).

Il 19 gennaio è morto a New York all’eta’ di 73 anni Andrè Leon Talley, leggendario ex direttore artistico dell’edizione americana di Vogue e tra i primi afroamericani a imporsi nel settore della moda. Lo riferisce il sito Tmz. Talley aveva scritto di moda su testate come “Women’s Wear Daily”, “W” e il “New York Times” ma si era imposto a livello internazionale alla direzione di Vogue, con una rubrica seguitissima dai lettori. Era nato a Washington nel 1948. Assiduo frequentatore delle settimane della moda di New York, Parigi, Londra e Milano, usò la propria influenza nel settore per promuovere l’inclusività nella moda e per lanciare giovani stilisti afro-americani. Nella sua autobiografia “A.L.T.: A Memoir” scrisse che “lo stile trascende razza, classe e tempo”.

Il 19 gennaio è morto Michelangelo La Neve. Il fumettista e sceneggiatore, originario di Cosenza, aveva 62 anni ed è morto a Roma. Michelangelo La Neve aveva firmato con i Manetti Bros successi come Song’e Napule, Ammore e malavita e Diabolik. Nato a Cosenza nel 1959, La Neve ha iniziato a collaborare come grafico ed illustratore per le edizioni Cioè e Play Press. Dal 1989 al 1991 ha collaborato con la Acme, scrivendo storie per le testate Splatter, Zio Tibia e Mostri e con la Blue Press per il mensile Blue. Nel 1992 è approdato alla Bonelli, iniziando a scrivere storie di Martin Mystère e Dylan Dog. Michelangelo La Neve ha collaborato anche al volume L’Opera a Fumetti per il Teatro dell’Opera di Roma. Nel 1995 ha varato vara il mensile a fumetti Esp, chiuso dopo circa un anno, per la Universo. Con Lorenzo Amadio ha scritto il romanzo fantasy Cyrus Dikto – La Sinfonia dell’Immortale (Mursia). Per la tv ha collaborato alle serie L’Ispettore Coliandro e Il Commissario Rex.

Il 22 gennaio è morto Gianni Di Marzio. Aveva 82 anni si è spento nella notte a Padova l’ex allenatore (tra le altre) di Napoli, Catania, Catanzaro, Cosenza, Padova e Palermo. Sulla panchina del Napoli, squadra della sua città (era nato a Mergellina) vinse anche una coppa Italia nel 1977 ma soprattutto fu lui a scoprire in Argentina un giovanissimo Maradona. Lo propose a Ferlaino quando però le frontiere erano ancora chiuse e il presidente partenopeo non se la sentì di fare quell’investimento all’epoca (ci riuscì però anni dopo). Dopo aver smesso di allenare Di Marzio non aveva lasciato il mondo del calcio, rimanendo come consulente di diversi club, tra cui la Juventus, e opinionista televisivo e radiofonico. Suo flglio è Gianluca Di Marzio, giornalista di punta di Sky e da lui arriva un tweet commosso:: “E adesso potrai finalmente allenarlo il tuo caro amato Diego sei stato un grande papà, mi hai insegnato tutto e non sarò l’unico a non dimenticarti mai” Anche il nipote Emilio ha voluto dare la triste notizia su Facebook: “zio Gianni non c’è più. Dovunque ha allenato o ha fatto il direttore sportivo ha lasciato un ricordo di competenza vera, professionalità rara e un tratto umano intenso, appassionato, mai freddo, mai distante. Si trattasse di Padova o di Palermo, di Napoli, Catanzaro, Cosenza, Venezia o altra città del nord o del sud. Sopra tutto, nella sua famiglia lascia un vuoto enorme fatto di battute continue, metafore calcistiche applicate a ogni fatto di vita, vicinanza vera ogni volta un parente avesse un problema o una difficoltà”,

Il 23 gennaio 2022 si è spento Thierry Mugler, stilista visionario, eclettico, all’avanguardia. Aveva 73 anni. Ha fatto sognare Hollywood con i suoi abiti: dai corsetti realizzati per Madonna fino al memorabile abito di Kim Kardashian per il Met Gala del 2019, possiamo di certo dire che si è guadagnato il suo posto d’onore nel mondo della moda. Dal 1975 ad oggi, il brand Mugler è sempre stato sinonimo di moda alternativa: il capolavoro dell’eccesso. Perché nella sua carriera, Mugler di successi ne ha raggiunti. Nato a Strasburgo il 21 dicembre del 1948, Mugler ha vissuto l’arte e la creatività sin da bambino. Oltre alla danza, da giovane ha subito il fascino del design d’interni. La sua vita, tuttavia, è cambiata quando si è trasferito a Parigi: nel 1970, ha iniziato a lavorare come vetrinista nella boutique Gudule. E, nel suo tempo libero, come chiunque rincorra un sogno, disegnava abiti, seguiva corsi di arte, ricercava il suo stile. Sin da quando ha creato la Maison Mugler nel 1975, la carriera è stata costellata da un successo senza eguali: tante star erano rimaste incantate dalla bellezza dei suoi abiti. Per fare alcuni nomi, Mugler ha vestito Madonna, Diana Ross, Sharon Stone. Negli anni ’80, tutte sulle passerelle sognavano i suoi abiti: uno stile eclettico, che sapeva come distinguersi e spiccare.

Il 25 gennaio è morto per complicazioni dovute al Covid l’ungherese Szilveszter Csollany. L’atleta aveva 51 anni, ed era nativo di Sopron. Csollany è stato uno dei più grandi specialisti degli anelli, conquistando in carriera due medaglie olimpiche, l’argento ad Atlanta 1996 alle spalle dell’azzurro Yuri Chechi, e l’oro a Sydney 2020. Il magiaro ha anche conquistato un titolo mondiale a Debrecen 2002 e cinque argenti iridati. E’ stato inoltre oro europeo nel 1998. Convinto no-vax, Csollany, che dopo il ritiro era rimasto nella ginnastica con il ruolo di allenatore, si era però vaccinato pur di continuare a lavorare. Lo scorso 3 dicembre era stato contagiato dal Covid e ricoverato con una polmonite in un ospedale di Sopron. Le sue condizioni sono progressivamente peggiorate ed è stato poi trasferito in un ospedale di Budapest, dove è deceduto.

Il 31 gennaio è morta Cheslie Kryst, la quale aveva coronato il suo sogno di sempre, vincendo il titolo di Miss America 2019. Poi era approdata nel mondo della televisione, senza però dimenticare la sua carriera legale. Una vita costellata di successi, che si è spenta troppo presto. Cheslie è morta a soli 30 anni, suicidandosi.

Il 31 gennaio è morto Claudio Guazzaroni: grande campione, maestro di vita e di sport che è morto oggi. Capo coach della Nazionale Italiana di karate della Fijlkam, Guazzaroni aveva 60 anni. Ternano di residenza, ma nato a Orte, da un ventennio seguiva gli atleti di alto livello della specialità kumite, come componente della Direzione tecnica

Il primo febbraio all’età di 80 anni è infatti morto Maurizio Zamparini, ex presidente di Venezia e Palermo e dirigente tra i più noti ed apprezzati negli ultimi 30 anni di storia del pallone italiano. Zamparini è spirato nella notte di martedì 1° febbraio presso la clinica di Cotignola, in provincia di Ravenna, dove era ricoverato da qualche giorno. Alla vigilia di Natale era stato ricoverato in terapia intensiva a Udine, sua città natale, ed era stato operato d’urgenza per una peritonite presso l’ospedale Santa Maria della Misericordia. Domenica 26 dicembre Zamparini aveva lasciato il reparto di terapia intensiva prima di venire dimesso grazie allo stabilizzarsi delle sue condizioni, prima che un nuovo aggravamento consigliasse un altro ricovero, che non è purtroppo bastato per salvargli la vita. Nell’ottobre scorso, a causa di un malore improvviso, era morto a Londra dove si trovava per studio Armando, il figlio 22enne di Zamparini, ritrovato senza vita da una governante nella sua camera. Un lutto improvviso dal quale l’ex dirigente non si sarebbe più ripreso. Zamparini era entrato nel calcio nel 1986 alla guida del Pordenone, all’epoca in Serie C e presto ceduto per acquisire nel 1987 il Venezia, riportato in Serie A nel 1998 dopo 31 anni dopo la fusione con il Mestre. Poi l’avventura con il Palermo, acquistato nel 2003, riportato in A dopo 31 anni e protagonista sotto la gestione di Zamparini delle migliori annate della propria storia, con due qualificazioni alle coppe europee, la qualficazione alla Champions League sfiorata e la finale di Coppa Italia persa nel 2011 contro l’Inter. Oltre che imprenditore e appassionato di calcio, Maurizio Zamparini, uscito dal calcio dopo la travagliata cessione del Palermo avvenuta nel 2018, prodromo del fallimento del club rosanero ripartito poi dalla Serie D, è stato anche un grande intenditore e proprio grazie al proprio fiuto calcistico è passato alla storia per aver scoperto e valorizzato talenti poi entrati nel gotha del movimento italiano e mondiale, acquistati dai club di Zamparini spesso per iniziativa diretta del patron prima ancora che per l’opera dei direttori sportivi. Da Alvaro Recoba, il cui arrivo in prestito dall’Inter nel 1999 fu alla base della miracolosa salvezza del Venezia dopo un girone d’andata da neopromossa, ai tanti giocatori diventati grandi a Palermo. La lista è lunga, da Luca Toni a Fabrizio Miccoli, fino a Edinson Cavani, acquistato per 5 milioni e rivenduto a 22 al Napoli nel 2010, e Paulo Dybala, ceduto alla Juventus nel 2016 per 40 milioni.

Il primo febbraio è morto il giornalista e telecronista sportivo Tito Stagno, a 92 anni il 1° febbraio 2022. Aveva raccontato lo sbarco sulla Luna nel 1969 ed era uno dei volti più noti della Rai.

Il 2 febbraio è morta Samantha Chiodini, all’età di 48 anni, dopo aver combattuto fino all’ultimo la malattia senza rinunciare alla sua passione più grande, il suo lavoro nella televisione. Samanta Chiodini ha collaborato a numerosi programmi di successo del piccolo schermo, da che tempo che fa di Fabio Fazio a Caduta Libera di Gerry Scotti fino a Almanacco con Piero Maranghi. Laureata in filosofia, ha curato il “Premio Subito di giornalismo”, di cui era l’anima creativa e il libro “l’educazione delle fanciulle” di Franca Valeri e Luciana Littizzetto. Tra i prossimi progetti da realizzare, aveva in cantiere un podcast su Pierpaolo Pasolini, insieme a Piero Maranghi direttore ed editore di Sky Classica Hd. L’autrice tv non si era mai arresa alla malattia, continuando a lavorare e portare avanti i suoi progetti e impegnandosi a favore della ricerca per aiutare altre donne come lei. Da questa volontà era nato un podcast.

L’8 febbraio è morto Luc Montagnier, aveva 89 anni. La voce circolava da giorni e si credeva alla solita bufala. Ma la conferma è arrivata solo in queste ore. Luc Montagnier, virologo Premio Nobel per la Medicina per la scoperta del virus dell’AIDS, è infatti morto martedì 8 febbraio all’età di 89 anni all’ospedale americano di Neuilly-sur-Seine. Negli ultimi anni della sua carriera era stato allontanato dalla comunità scientifica per le sue idee mediche alternative.

Il 10 febbraio è morta Donatella Raffai, la conduttrice volto storico della trasmissione di maggior successo di Rai3, “Chi l’ha visto?” e dell’antesignano “Telefono Giallo” (con Corrado Augias), sempre sulla terza rete pubblica. Lontana dagli schermi per sua scelta dal 2000 si è spenta a Roma dopo una lunga malattia, aveva 78 anni. A darne notizia, il marito Silvio Maestranzi, ex regista Rai, che aveva sposato dopo una lunga convivenza di oltre 30 anni solo un anno fa, e due precedenti matrimoni. Donatella Raffai, marchigiana di origine (è nata a Fabriano l’8 settembre del 1943, in provincia di Ancona), ha vissuto gran parte della sua vita a Roma ma con il marito si spostava ogni per un periodo dell’anno nella sua casa in costa azzurra. Lascia due figli gemelli adulti, e i nipoti. Raffai era figlia dell’ammiraglio Antonio Raffai e di Maria Jelardi, entrambi di nobili famiglie. Donatella inizia la sua carriera a soli 16 anni nel mondo del cinema. Esordì infatti nel 1960, nel film “Dolci Inganni” del maestro Alberto Lattuada. Coniugata a 20 anni e in seguito divorziata, sposatasi in seconde nozze sul finire degli anni sessanta con il “re dei nightclub” Fabrizio Bogiankino nuovamente divorziata, prima di incontrare il grande amore Silvio Maestranzi che le resterà sempre accanto. Verso la metà degli anni ’60 inizia a lavorare nel settore discografico per la RCA come responsabile delle pubbliche relazioni e anche curatrice d’immagine di alcuni cantanti da Mia Martini a una giovanissima Nada, affiancandola poi nel suo debutto al Festival di Sanremo 1969. Nel suo curriculum anche il debutto di Claudio Baglioni, nel 1970, al fianco del quale comparve nel video promozionale di “Una favola blu”. L’interesse per il giornalismo si trasforma in passione e dopo i primi passi approda in Rai nel 1971. Nel 1971 inizia a lavorare alla Rai dove conduce alcune trasmissioni radiofoniche (Voi e io, Radio anch’io, Chiamate Roma 3131), approdando poi in TV alla fine degli anni ottanta. In Rai è autrice e conduttrice di varie trasmissioni di approfondimento giornalistico e di cronaca sulla terza rete allora diretta da Angelo Guglielmi, il periodo d’oro dell’ultima nata delle reti Rai. Donatella scrive e conduce “Telefono giallo” con Augias e mette la sua mano anche su “Filò”, “Posto pubblico nel verde” e “Camice bianco”. La consacrazione arriva nel 1989. A portare in vetta Donatella Raffai è la conduzione del programma “Chi l’ha visto?”, assieme a Paolo Guzzanti (nella prima edizione del 1989) e a Luigi Di Majo (edizioni 1989-1990 e 1990-1991). Per questa nel 1990 la Raffai vince sia il Telegatto che l’Oscar tv come personaggio televisivo femminile dell’anno. Nel boom della cosiddetta tv utile, il programma raggiunge un apice di popolarità che resta tra i migliori risultati “storici” di Rai 3. Nell’autunno del 1991, decisa a intraprendere nuove sfide per la sua carriera lascia la conduzione del programma che aveva portato al successo si dedica a Parte civile in prima serata su Rai 3, format di denuncia di ingiustizie verso i cittadini. Nell’autunno del 1992 conduce sempre su Rai 3 il preserale 8262, rubrica quotidiana nata con l’obiettivo di fare da traino al TG3 delle 19. In seguito a ciò torna nel gennaio del 1993 alla conduzione di Chi l’ha visto?, che questa volta presenta da sola nella seconda parte della stagione 1992-1993 e poi nella successiva stagione 1993-1994, quest’ultima però non terminata (viene infatti sostituita nell’aprile 1994 da Giovanna Milella). Nel gennaio del 1995 approda su Rai 1 per condurre il talk show di seconda serata Anni d’infanzia, realizzato in coda ad un film su tematiche legate all’infanzia, trasmesso dalla rete nella stessa serata. Donatella Raffai lascia il suo segno ancora in Rai con “Lasciate un messaggio dopo il bip” e poi, tra il 1998 e il 1999, come inviata in alcune puntate di “Domenica in”. Da segnalare che negli anni novanta Donatella Raffai è un personaggio popolarissimo tanto da essere imitata da Corrado Guzzanti nella trasmissione satirica Scusate l’interruzione e da molti altri comici. Partecipa nel 1998 al film La guerra degli Antò in un breve cameo nel ruolo di sé stessa, conduttrice di un’improbabile puntata di Chi l’ha visto?. La sua ultima apparizione in Tv di Donatella Raffai sarà però a Mediaset, nel 2000, come conduttrice di “Giallo 4”, format di Rete 4 concepito come un remake del Telefono giallo di Rai 3. Po il ritiro a vita privata. A proteggerla da un passato che ormai rifiutava, il marito Silvio Maestranzi.

Il 14 febbraio è morto Tony Fuochi, nome d’arte di Antonio Fuochi ex speaker amatissimo di Radio Padova, nonché doppiatore di Super Mario e Phoenix de I Cavalieri dello Zodiaco. Se n’è andato all’età di 67 anni, nella terapia intensiva dell’ospedale di via Giustiniani a Padova, dove era ricoverato dal 12 gennaio per Covid. Nato a Cremona nel 1955, aveva iniziato la sua carriera in radio, passione che ha continuato per tutta la sua vita, anche dopo essere diventato un’eccellenza nel doppiaggio. Tony Fuochi era uno dei doppiatori più amati, aveva prestato la sua voce a tanti personaggi del mondo dello spettacolo, soprattutto dei cartoni animati e dei videogiochi. Il suo timbro corposo fin da subito balzò all’attenzione del pubblico, anche se durante un’intervista fu proprio lui a raccontare come agli inizi nel mondo dell’animazione, ricevesse solo le parti di personaggi “brutti e cattivi”, proprio per il suo timbro vocale. Alla fine era riuscito ad ottenere la parte di Phoenix ne I Cavalieri dello Zodiaco, venendo scelto tra l’altro per ultimo, tra le diverse voci dell’anime. Ma fu proprio questa la fortuna in Italia del cartone. Oltre a questa interpretazione molti lo ricorderanno come la voce dello Stregone del Toro in Dragon Ball Z, e Dragon Ball GT. E ancora, House di Scuola di Polizia, Giovanni il malvagio capo del Team Rocket nella serie Pokémon, Zodd nella prima trasposizione animata di Berserk, Gol D. Roger e tanti altri personaggi in One Piece. Anche nel campo dei videogiochi la sua voce era una vera e propria eccellenza. Da God of War 3 dove aveva doppiatto Efesto, Master Yi nel gioco free-to-play della Riot League of Legend, Kleiver in Jak 3, Samael e Arso Consiglio in Darksiders, e successivamente sempre Samael e Padre Corvo in Darksiders 2. E ancora in The Elder Scrolls 5: Skyrim, Infamous 1 e 2, Alan Wake, Dante’s Inferno, Destiny, Call of Duty: Black Ops 2, Killzone. La prossima stagione degli anime di Yamato sarà un tributo al suo nome e alla sua voce, che ha segnato indelebilmente e ispirato intere generazioni.

Il 20 febbraio è morto Pierluigi Frosio, allenatore della cavalcata atalantina in Europa a fine 1990, con il trionfale approdo ai quarti di Coppa Uefa. Aveva 73 anni. Nato a Monza il 20 settembre 1948, Frosio aveva 73 anni ed era malato da tempo. Da giocatore era stato il capitano storico del Perugia (dieci anni dal 1974 al 1984 e 323 partite) e con quella maglia conquistò il secondo posto finale in serie A e lo sbarco nella seconda competizione continentale. A Bergamo fu il primo allenatore di Antonio Percassi , al suo debutto presidenziale fra la gestione di Cesare Bortolotti e quella di Ivan Ruggeri. Nella sua Atalanta c’erano Stromberg, Caniggia, Evair, Nicolini, Pasciullo, Progna. Il primo ostacolo in Coppa Uefa fu la Dinamo Zagabria.

Il 5 marzo l’ex ministro Antonio Martino è morto a 79 anni a Roma. Economista di ispirazione liberale, era stato tra i fondatori di Forza Italia e più volte ministro. Martino, nato a Messina nel 1942, aveva un passato nel Partito Liberale, di cui suo padre Gaetano, presidente del Parlamento europeo negli anni ’60, era stato uno dei protagonisti principali. Laureatosi in Giurisprudenza nel ’64, si dedica all’economia politica insegnando anche alla Luiss di Roma, di cui fu preside nei primi anni ’90. Nel ’93 diventa la tessera numero 2 di Forza Italia e, l’anno seguente, dopo la vittoria del centrodestra alle Politiche, assume l’incarico di ministro degli Esteri. Deputato azzurro dal ’94 al 2018, nel secondo e terzo governo Berlusconi è titolare del dicastero della Difesa. In quegli anni è tra i principali sostenitori della fine della leva obbligatoria. Nel maggio dello scorso anno era diventato presidente onorario dell’Istituto Milton Friedman.

Il 15 marzo è morto Scott Hall, o se preferite Razor Ramon (il nome con cui è entrato nella Hall of Fame nel 2014), è morto a 63 anni. Tre attacchi cardiaci consecutivi avevano portato all’intubazione dell’ex campione e alla decisione da parte della famiglia di staccare le macchine che lo hanno tenuto in vita nelle ultime ore vista l’irreversibilità della situazione. Tutto sembra essere nato da un intervento mal riuscito all’anca (uno degli storici problemi fisici di Hall) che avrebbe creato un grumo di sangue, causa degli attacchi cardiaci. Una vita, quella di Hall, che rappresenta 10 esistenze di una persona “normale”, per l’uomo che ha reso divertente e “Cool” dentro e fuori dal wrestling il concetto di “Heel”, il cattivo. Un ruolo che da lui in poi ha cominciato a essere osannato anche dalle folle. ‘El Jefe’ – ‘Il Capo’ – era il suo soprannome ai tempi in cui faceva Razor Ramon, suo personaggio storico. Ancora prima di diventare un personaggio chiave nel wrestling, nel 1983 Hall fu accusato di omicidio di secondo grado dopo una lite in discoteca. Venne assolto per mancanza di prove ma in una lunga intervista a Espn, nel 2011, ammise di non aver mai dimenticato il fatto. Hall è stato arrestato numerose volte durante la sua vita turbolenta: nel 1990 devastò una limousine fuori da una discoteca, nel 1998 molestò una donna di 56 anni all’esterno di un hotel a Baton Rouge. Ma l’episodio che ha fatto più scalpore risale al 2008, quando il comico Gimmy Graham disse su un palco che Hall sniffava cocaina e che la sua carriera stava precipitando come quella di Owen Hart (altro campione scomparso nel 1999 per un incidente durante un pirotecnico ingresso sul ring). Scott impazzì e gettò l’attore giù dal palco. Arrestato ancora nel 2010 per resistenza a un pubblico ufficiale e nel 2012 per violenza domestica alla sua allora fidanzata Lisa Howell, nel 2013 l’amico Diamond Dallas Page lo aiutò a disintossicarsi, avviando una raccolta fondi per consentirgli diversi interventi all’anca e ai denti. Hall, tornato lucido, fu riaccolto dalla Wwe che non solo lo inserì nella Hall of Fame nel 2014, ma lo fece anche nel 2020 come membro dell’Nwo. A 63 anni Scott stava ben lontano dagli eccessi che gli hanno distrutto la vita, poi le complicazioni fatali.

Il 15 marzo è morto a 51 anni Chris Pfeiffer. Era considerato il re degli stuntman su due ruote. Ha portato a un nuovo livello una disciplina spettacolare ed acrobatica. Le sue esibizioni erano esplosive ed ironiche. Dimostrazioni di capacità e destrezza. Chris si è tolto la vita, ponendo termine a un lungo periodo di depressione. Il pilota tedesco era amatissimo e dal 2015 si era ritirato. Prima diventare famoso come stuntman aveva gareggiato nel trial e nell’enduro. Nella sua carriera aveva primeggiato anche nell’Enduro Extreme e si era aggiudicato quattro Red Bull Hare Scramble.

Il 14 marzo Stephen Wilhite è morto dopo una lunga battaglia contro il Covid-19, aveva 74 anni. La notizia è stata data dalla moglie, spiegando che l’inventore del formato GIF ha combattuto per due settimane contro il coronavirus. Nato il 3 marzo del 1948, Wilhite è riuscito a dar vita ad una parte fondamentale del web. Tutto è iniziato alla fine degli anni Ottanta. Stephen Wilhite lavorava presso la CompuServe, dove è nato il formato GIF (Graphics Interchange Format). In realtà, il vero scopo di questa invenzione doveva essere quello di accelerare i download di immagini a colori in un momento in cui la velocità di internet era completamente diversa rispetto a quella attuale. Il risultato finale portò invece alla creazione di meme e immagini animate. Il padre del formato GIF si era ritirato agli inizi degli anni 2000. Stephen Wilhite aveva infatti deciso di trascorrere il resto dei suoi anni lontano dai riflettori. Passava le giornate a costruire modellini di treno nel seminterrato di casa sua. In alternativa, viaggiava molto.

Il 15 marzo si è spento all’età di 76 anni il giornalista Sergio Canciani, volto noto della tv pubblica, per anni era stato uno dei principali corrispondenti da Mosca per il Tg1. Nella sua carriera, oltre che sul piccolo schermo, aveva collaborato con diversi quotidiani nazionali ed era stato autori di saggi di grande rilievo. Secondo quanto si apprende il decesso è avvenuto nella sua casa del quartiere sloveno di Trieste. Triestino, aveva iniziato la sua carriera nella testata giornalistica regionale della Rai prima quella slovena e poi quella italiana del capoluogo friulano, dove si era formato per poi passare al telegiornale nazionale dove, sin da subito, fu chiamato a rivestire il ruolo di corrispondente sul finire degli Anni Novanta, dove rimase fino al 2011, per quasi quindici anni. È stato per lungo tempo, infatti, uno dei maggior conoscitori dello scenario politico russo, in merito al quale aveva scritto numerosi libri in cui approfondiva le tematiche socio-politiche dall’interno del Paese. Con la sua professionalità Raccontò anche l’evolversi della guerra nell’ex Jugoslavia, l’evolversi di Sarajevo, fu in diretta con il telegiornale durante i funerali di Tito, aveva raccontato la Guerra nei Balcani, per poi descrivere nel dettaglio i cambiamenti del Cremlino da Elstin a Putin. Giunto alla pensione, poi, lasciò la Russia per ritornare in Italia dalla sua famiglia. A questo proposito lungimiranti e limpide sono state le sue analisi trascritte nei libri “Roulette Russia” incentrato sulla disfatta dell’ex impero sovietico, seguito da  “Putin e il neo-zarismo-Dal crollo dell’URSS alla conquista della Crimea”. Sin da questi scritti aveva compreso e argomentato l’interesse dell’attuale capo del Cremlino nei confronti dell’Ucraina, parlando di questioni che adesso sono tragicamente all’ordine del giorno e che, quotidianamente, facciamo fatica a comprendere.

Il 23 marzo è morto Giovanni Battezzato all’età di 71 anni. Figura poliedrica capace di spostarsi negli ambiti più diversi, Battezzato fu soprattutto noto per aver prestato la voce a personaggi iconici dell’animazione giapponese quali il drago Shenron di Dragon Ball o ancora Smoker in One Piece. La lunga carriera di Battezzato non si ferma però al doppiaggio. In televisione lo abbiamo visto in serie popolari italiane a cavallo tra gli anni ’80 e 2000 quali Cristina, Nonno Felice, Casa Vianello, Quelli dell’Intervallo o ancora i Cesaroni. Tra il 2008 e il 2012 fu una delle colonne portanti di Virgin Investigation Bureau insieme a Sophia Eze.

Il 27 marzo all’età di 89 anni se n’è andato Gerardo Gargiulo l’amico storico di Renzo Arbore, conosciuto ai tempi in cui lo showman viveva a Napoli e frequentava l’Università Federico II di Napoli. Un rapporto mai interrotto il loro fatto di reciproca stima e affetto e dallo stesso modo di affrontare la vita con leggerezza. Il prossimo anno avrebbero festeggiato 65 anni di amicizia. Sorrentino doc, fratello della giornalista Giuliana Gargiulo, già consigliere e assessore comunale, è stato come Luciano De Crescenzo un ingegnere prestato alla nobile arte della goliardia. Musicista e appassionato di jazz, è apparso in entrambi i film girati da Arbore, “Il pap’occhio” e “F.F.S.S, che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?”. In quest’ultimo interpretava il ciakkista che dopo aver dato il ciak restava fisso davanti alla telecamera per recuperare il suo quarto d’ora di celebrità. E per questo motivo veniva continuamente redarguito dal regista Arbore. Ma Gargiulo è stato coinvolto in ogni idea dello showman foggiano e ha sempre partecipato anche con interventi minimi alle sue trasmissioni. «Ormai è diventato un fatto scaramantico – diceva – insieme abbiamo fatto di tutto»

Il 28 marzo il campione del mondo di kickboxing, Maksym Kagal, è morto in battaglia a Mariupol, faceva parte delle forze speciali di Azov. Lo riportano i media ucraini. «Dormi tranquillo, fratello, la terra è tua, ti vendicheremo», ha detto l’allenatore Oleg Skirt citato da Ukrinform. Kagal era il primo campione del mondo di kickboxing Iska (International sport karate association) tra gli adulti nella squadra nazionale ucraina.

Il 2 aprile, Piero Sonaglia, l’assistente di studio di Amici, Tu si que vales e Uomini e donne, sarebbe morto stroncato da un infarto dopo una partita di calcetto. L’uomo, che viveva a Ostia, stava giocando con suo figlio, 25 anni, nei campi da calcetto di via Amenduni. Ma all’improvviso, mentre tutti stavano abbandonando il terreno di gioco, il 51enne ha avuto un malore. A riferirlo è l’emittente televisiva ostiense Canale Dieci, che nelle scorse ore ha reso nota la dinamica del decesso di Sonaglia. “Si è accasciato nel campo di calcetto dove stava giocando con il figlio”, riporta il servizio dell’emittente tv, spiegando che Piero Sonaglia stava disputando una partitella con il figlio maggiore, quando si è sentito male. Secondo la ricostruzione dei fatti fornita da alcuni presenti, i giocatori stavano rientrando verso gli spogliatoi, quando Sonaglia si è accasciato a terra. Piero era amato e ben voluto anche dai volti noti, che hanno transitato nei programmi di Canale 5, ma soprattutto dai colleghi e dallo staff della Fascino, la casa di produzione per la quale lavorava. Distrutta dalla prematura scomparsa di Sonaglia Maria De Filippi, che sui social lo ha voluto salutare con un messaggio straziante.

L’8 aprile Fujiko Fujio A, al secolo Motoo Abiko, è stato trovato morto nella sua casa in Kawasaki. Il mangaka se ne è andato a 88 anni. Abiko è passato alla storia dell’animazione nipponica tra gli anni Settanta e Ottanta grazie alla realizzazione in solitaria di manga come “Carletto, principe dei mostri” e “Nino il mio amica ninja”. Con Fujiko F. Fujio, venuto a mancare nel 1996, formava il duo Fujiko Fujio. La coppia di disegnatori ha dato vita a uno dei personaggi simbolo della cultura giapponese, “Doraemon”.

Il 18 aprile è morto, a Bologna, all’età di 69 anni lo scrittore, autore di horror e fantasy, Valerio Evangelisti. A darne notizia è Potere al Popolo, formazione nella quale militava e per la quale era stato candidato al consiglio comunale bolognese alle ultime elezioni. Oltre alla sua vasta produzione letteraria, nota soprattutto per il ciclo di Eymerich, Evangelisti è stato impegnato per tutta la sua vita anche nella politica e nel sociale. È stato fondatore e direttore del sito Carmilla on line. «Una notizia che ci colpisce come un sasso – lo ricorda Potere al Popolo – Valerio si è speso tanto in questi anni, a fianco delle lotte e nella costruzione di Potere al Popolo, trasmettendoci la sua cultura, la sua rabbia, la sua convinzione, che non lo ha mai fatto arrendere, nemmeno davanti a una lunga malattia. Da sempre militante comunista, un antifascista che ha portato avanti le sue idee coerentemente, nella sua vita e nei suoi libri, fino a pochissimi giorni fa quando è intervenuto durante l’assemblea Disarmiamo la Guerra».

Il 26 aprile è morta Donna Assunta Almirante, considerata la memoria storica della destra italiana. Aveva 100 anni. Con lei scompare l’ultima depositaria dell’eredità morale e politica del marito Giorgio, il fondatore del Movimento Sociale Italiano. Raffaela Stramandinoli, conosciuta come donna Assunta Almirante, nasce a Catanzaro il 14 luglio 1921, da una famiglia di latifondisti benestanti che, all’età di soli 17 anni, le organizza un matrimonio combinato con il marchese Federico de’ Medici, più grande di lei di 21 anni. Dalla loro unione sono nati tre figli, Marco, Marianna e Leopoldo, ma nel ’49 Donna Assunta assiste in Calabria a un comizio che le cambierà la vita. Conobbe Almirante, anch’egli già sposato, e i due si separarono per mettersi insieme. Fu lei a designare Fini come successore, scelta della quale si pentirà profondamente con parole di disprezzo verso il “delfino” dell’ormai defunto marito.

Il 30 aprile è morto Mino Raiola, aveva 54 anni. La sua morte era stata spesso annunciata in questi giorni, essendo ricoverato al San Raffaele di Milano per una malattia polmonare. Tra i più ricchi e famosi di tutto il mondo, che poteva vantare nella sua ‘scuderia’ campioni del calibro di Ibrahimovic, Pogba, Haaland, Balotelli, De Ligt, Donnarumma e Verratti (e in passato anche Hamsik e Insigne). Era entrato nel mondo del calcio ad inizio anni ’90, quando lavorava nella pizzeria del padre in Olanda, frequentata da diversi calciatori.

Il 30 aprile si è spento all’età di 80 anni per complicazioni da sepsi il leggendario Neal Adams, uno dei fumettisti più celebri di sempre, nonchè founder della sua etichetta Continuity Studios. La sua impronta e il suo tratto hanno rappresentato un’innovazione rivoluzionaria, tanto da aver scosso il mondo dei fumetti alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, nel periodo definito Silver Age, con il tratto muscoloso dei suoi supereroi, prima alla Dc Comics con un personaggio chiamato Deadman, poi alla Marvel Comics con X-Men e The Avengers e infine con la sua influenza più duratura sul personaggio di Batman. Addirittura le sue trame sono state usate nei recenti film sull’Uomo Pistrello, compreso l’ultimissimo, The Batman. Lavorando proprio sul supereroe di Gotham City, Adams e lo sceneggiatore Dennis O’Neil hanno portato un cambiamento rivoluzionario al supereroe e ai fumetti, fornendo realismo, movimento e un senso di minaccia alla loro narrazione. Nato a Governor’s Island, New York, il 6 giugno 1941, Adams esordisce nel 1959 come assistente di Howard Nostrand disegnando per alcuni mesi Bat Masterson. Dal 1962 al 1966 disegna le strisce quotidiane e le tavole domenicali del medico Ben Casey, un personaggio basato su una serie televisiva molto in voga. In seguito ha collaborato anonimamente al Rip Kirby di John Prentice e alla Juliet Jones di Stan Drake. Entra poi alla Dc Comics, dove disegna con taglio moderno e molto personale Deadman e alcune avventure di Batman, considerate dagli appassionati memorabili. Nel 1969 inizia a collaborare anche con la Marvel disegnando alcune avventure dei Vendicatori e degli X-Men. L’anno successivo disegna per la Dc Comics, le avventure di Lanterna verde e Freccia verde, una serie molto realistica forse un po’ troppo in anticipo sui tempi, tanto da venire interrotta nel maggio del 1972 dopo solo tredici storie. A lungo presidente della Academy of Comic Book Art, ha continuato a disegnare fumetti per diverse case editrici. Alla fine degli anni Settanta decide di fondare un proprio studio, occupandosi anche di pubblicità e di scenografie teatrali. Nel 2010 Adams venne nuovamente ingaggiato dalla Dc Comics per disegnare e sceneggiare una miniserie di Batman, intitolata Odissey. Nel 2020 si è occupato della miniserie dei Fantastici Quattro. La sua opera visionaria è stata di grande influenza per numerosi artisti tra cui Bill Sienkiewicz e Frank Miller, così come il suo impegno sociale, battendosi sempre per i diritti della sua categoria.

Il 3 maggio all’età di 90 anni si è spento Tony Brooks, ex pilota di scuderie come l’Aston Martin, la Vanwall e la Ferrari, con la quale corse nel 1959. Soprannominato il ‘dentista volante’ per via del mestiere del padre (chirurgo dentista), il britannico riuscì nella particolarità di vincere la metà delle gare in cui riuscì a classificarsi. Il ‘dentista volante’ ha vinto sei Gp in Formula 1.

Il 6 maggio a Napoli, all’età di 87 anni, è morto Gianni Pisani, un artista che nel corso della sua carriera ha stretto rapporti con la Pop Art, New Dada, Body Art. La notizia si è diffusa su Fb, con un post della compagna Marianna Troise. Alcune sue opere sono custodite nel Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina (Madre) ed il Museo d’Arte Contemporanea religiosa. Il suo percorso artistico è iniziato con gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.

Il 31enne il rugbista samoano Kelly Meafua è morto nella notte dopo essersi gettato da un ponte nel fiume Tarn. Lo ha confermato una fonte del club francese in cui giocava, il Mountaban, dopo che la notizia era stata riferita dl sito del giornale ‘La Depeche du Midi’. Sempre nella giornata di ieri Meafua aveva preso parte all’incontro vinto per 48-40 dalla sua squadra contro il Narbonne valido per la seconda divisione francese. Poi, secondo diverse testimonianze, aveva festeggiato con i suoi compagni di squadra l’ultima partita casalinga della stagione in una discoteca del centro di Montauban prima di essere visto saltare dal Pont-Vieux e sembra che fosse in stato di ebbrezza. Meafua era arrivato in Francia nel 2015, per giocare nel Narbonne. Successivamente ha fatto parte del Beziers nel 2018 prima di passare al Montauban la scorsa stagione. In quella in corso aveva giocato 24 partite segnando otto mete.

L’11 maggio è morto Bob Lanier. L’hall of famer ex stella di Detroit Pistons e Milwaukee Bucks negli anni ’70 ed in seguito coach di Golden State è scomparso all’età di 78 anni. Lanier è stato uno dei migliori centri della propria generazione e ha giocato per 14 stagioni nella NBA, totalizzando 959 partite, con una media di 20.1 punti e 10.1 rimbalzi a partita. Prima scelta assoluta al draft NBA 1970 da parte di Detroit, Lanier, famoso anche per la sua altezza (211 cm), ha giocato con i Pistons per 10 anni, con diverse partecipazioni ai playoff, ma nessuna alle Finals. Nel 1980 il passaggio ai Bucks, dove rimase per quattro stagioni raggiungendo due finali di Conference, nel 1983 e nel 1984. Dopo dieci anni Lanier ha intrapreso la carriera di coach, ma con scarsi risultati, da vice e poi primo allenatore di Golden State nella stagione ’94-95. Nel 1992 è stato inserito nella Hall of Fame.

L’11 maggio è morta Shireen Abu Aqleh lavorava dal 1997 per la rete televisiva in lingua araba al-Jazeera, Shireen Abu Aqleh, ed è già rimpianta dai colleghi, ma, soprattutto, dalle tante donne arabe che vedevano in lei un faro di verità e di speranza per una vita più libera. La Aqleh, 51 anni, è stata uccisa nel mezzo di uno scontro tra soldati israeliani e palestinesi, avvenuto nella città di Jenin, a nord della Cisgiordania. Raggiunta da un colpo di arma da fuoco alla testa che l’ha uccisa sul colpo. Indossava, come tutti i cronisti di guerra, un giubbotto con scritto “press” nonché un elmetto, che però non l’hanno salvata. Ed ora si cerca di capire da dove sia partito quel proiettile e se volutamente. I sospetti ricadono sull’esercito israeliano.

Il 16 maggio è morto il presidente della Triestina Mario Biasin. Il numero uno del club di Serie C aveva 71 anni. La triste notizia è stata riportata dal Melbourne Victory Football Club, squadra di calcio australiana di cui lo stesso Biasin era direttore e azionista principale da 16 anni.

Il 17 maggio è morto Ademola Okulaja. Aveva 46 anni soltanto. Nella sua lunga carriera Okulaja aveva collezionato 172 presenze con la nazionale teutonica, di cui era stato capitano e con cui aveva partecipato a sei campionati europei (1995, 1997, 1999, 2001, 2003, 2007) e a due campionati del mondo (2002, 2006). A livello di club aveva scritto pagine importanti con l’ALBA Berlino e giocato anche in Spagna (Barcellona e Malaga tra le altre). Per lui anche una breve esperienza a Treviso, nel 2004.

Il 26 maggio l’ex presidente del Consiglio e segretario della Dc, Ciriaco De Mita, è morto all’età di 94 anni. Attualmente era sindaco di Nusco (Avellino), il paese dell`Irpinia che gli aveva dato i natali nel 1928. De Mita era stato sottoposto a febbraio a un intervento chirurgico per la frattura di un femore a seguito di una caduta in casa. Era ricoverato nella casa di cura Villa dei Pini, dove stava seguendo un percorso di riabilitazione. Eletto per la prima volta alla Camera nel 1963, De Mita vi rimase per 30 anni di seguito e fu un grande protagonista della Prima Repubblica. Divenne vicesegretario della Dc nel 1969 e poi segretario il 6 maggio 1982. Per sette anni rimase leader del partito, fino al 1989, e per un anno fu anche capo del governo, svariate volte ministro e parlamentare europeo. Dal 2014 era sindaco di Nusco, eletto con l’Unione di centro.

Il 29 maggio il grande scrittore e intellettuale di lingua slovena di Trieste, Boris Pahor, è morto all’età di 108 anni. Nato a Trieste nel 1913, Pahor è considerato il più importante scrittore sloveno con cittadinanza italiana e una delle voci più significative della tragedia della deportazione nei lager nazisti, raccontata in Necropoli, ma anche delle discriminazioni contro la minoranza slovena a Trieste durante il regime fascista. L’intellettuale, testimone in prima persona delle tragedie del Novecento, ha scritto una trentina di libri tradotti in decine di lingue, tra cui “Qui è proibito parlare”, “Il rogo nel porto”, “La villa sul lago”, “La città nel golfo”.

Il 6 giugno il giornalista, scrittore e telecronista Gianni Clerici è morto a Bellaggio, su lago di Como, all’età di 91 anni. La sua salute era peggiorata dopo un ictus che lo aveva colpito nel 2020. Maestro di giornalismo sportivo, noto a livello internazionale per la sua conoscenza del tennis, Clerici – che era stato un tennista in gioventù – per il numero e la qualità delle sue pubblicazioni (oltre 6mila solo gli articoli) è stato inserito nel 2006 nella International Tennis Hall of Fame, secondo italiano presente dopo Nicola Pietrangeli (insignito del riconoscimento nel 1986). È autore anche di romanzi, poesie, racconti e testi teatrali. Nato come Giovanni Clerici a Como il 24 luglio 1930, si era affermato come giornalista sportivo specializzato nel tennis, sport che ha praticato con buoni risultati vincendo due titoli italiani juniores di doppio in coppia con Fausto Gardini (1947 e 1948) e sempre da juniores ha raggiunto la finale del singolare nel 1950. Sempre nel 1950 ha conquistato la «Coppa de Galea» a Vichy, bissando il successo nel 1952 al «Monte Carlo New Eve Tournament». Come singolarista ha partecipato ai tornei di Wimbledon (1953) e Roland Garros (1954), fermandosi sempre al primo turno.

L’8 giugno è morto Simiso Buthelezi. Lo scorso fine settimana ha combattuto contro il connazionale sudafricano Siphesihle Mntungwa nel match valido per la World Boxing Federation All Africa Lightweight a Durban. Un decesso arrivato nel giro di pochi giorni subito dopo quell’incontro, poi interrotto, in cui il pugile aveva mostrato di essere in condizioni neurologiche pesantemente compromesse. Ad un certo punto, durante l’incontro, si è girato verso un altro angolo del ring rispetto a quello dove era posizionato il suo avversario e ha iniziato a dare pugni a vuoto, verso un avversario immaginario. Da lì è stato condotto d’urgenza in ospedale dopo essere stato portato via in barella entrando immediatamente in coma. Oggi il decesso che ha lasciato senza parole il mondo dello sport. Le immagini sono diventati virali sul web. Buthelezi che nel frattempo era crollato tra le braccia dello stesso direttore di gara. Le prime analisi hanno evidenziato un’emorragia al cervello che ha reso necessario lo spostamento in terapia intensiva, in coma indotto.

Il 12 giugno il discografico, editore e produttore musicale Piero Sugar, marito di Caterina Caselli, è morto la scorsa notte nella sua casa di Milano all’età di 85 anni. Nato a Milano il 7 febbraio 1937, era figlio di Ladislao Sugar (Budapest 1896 – Milano 1981), il fondatore delle Messaggerie Musicali, che nel 1959 acquisì la Cgd, Compagnia Generale del Disco, fondata da Teddy Reno, dando vita così alla Cgd-Sugar. Entrato nell’azienda paterna a metà degli anni Sessanta, Piero Sugar ne è diventato in seguito amministratore delegato e vice presidente, vivendo tutta la grande stagione del boom musicale e delle sue trasformazioni anche tecnologiche. Piero Sugar conobbe Caterina Caselli, di nove anni più giovane, all’epoca ribattezzata “casco d’oro”, poco dopo il grande successo di “Nessuno mi può giudicare” (1966) prodotto proprio dalla Sugar. La coppia si sposò nel 1970, quando lei aveva 24 anni e lui 33. Nel 1971 è nato il loro figlio Filippo Sugar, che dal 1997 è amministratore delegato del Gruppo Sugar e dal 2015 al 2018 è stato anche presidente del consiglio di gestione della Siae. A metà degli anni ’70 Caterina Caselli, conclusa l’attività di cantante, decise di intraprendere al fianco del marito l’attività di imprenditrice discografica, entrando a far parte del management della casa discografica del gruppo Sugar, la Sugar Music. Caterina Caselli è stata non solo manager ma anche scopritrice di talenti: ha lanciato, tra gli altri, Giuni Russo, Paolo Vallesi, Andrea Bocelli, Gerardina Trovato, Filippa Giordano, gli Avion Travel, i Gazosa, Elisa, i Negramaro, Malika Ayane, Raphael Gualazzi e Giovanni Caccamo.

Il 14 giugno è morto Abraham B. Yehoshua, scrittore e drammaturgo di fama internazionale, è morto questa mattina in Israele, dopo una dura battaglia contro il cancro. Lo riferisce la stampa del suo Paese. Aveva 85 anni. Abraham Yehoshua Per decenni Yehoshua era stato un fervente paladino di una soluzione negoziata del conflitto fra Israele ed i palestinesi, assieme con due altri celebri scrittori israeliani: Amos Oz (deceduto nel dicembre 2018) e David Grossman. Nel tempo i tre erano divenuti un punto di riferimento costante per la sinistra sionista ed il loro parere era stato spesso richiesto – in Israele e all’estero – sugli avvenimenti correnti. In Italia Yehoshua era molto amato e molti suoi libri sono stati tradotti. Fra questi: ‘Il signor Mani’, ‘Viaggio alla fine del millennio’, ‘Elogio della normalità’, L’amante’, ‘Fuoco amico’, ‘Un divorzio tardivo’ e ‘La figlia unica’. Dopo un matrimonio durato oltre 50 anni nel 2016 era rimasto vedovo, cosa che lo aveva molto prostrato. Nelle ultime interviste, rilasciate mentre sapeva di essere gravemente ammalato, aveva affermato di attendere la morte con serenità, anche se si diceva molto preoccupato per il futuro politico e sociale di Israele.

Il 18 giugno è morto a 76 anni l’artista Marco Borgianni, era un pittore figurativo impressionato dal Gran Canyon e dai paesaggi selvaggi americani che ha dipinto in numerose opere. Borgianni è morto, dopo una lunga malattia proprio a Vico d’Elsa, una frazione del comune di Barberino Tavarnelle, dove era nato nel 1946. Appassionato fin da giovane al mondo dell’arte, Borgianni si iscrive all’Istituto d’Arte di Siena dove si diploma come maestro d’arte in ceramica ed in questo periodo entra in contatto con il pittore Emilio Montagnani e lo scultore Plinio Tammaro. A metà degli anni Sessanta esordisce con la prima mostra alla Galleria ‘Nuova Aminta’ di Siena. Nel 1967 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze sotto la guida di Ugo Capocchini e al tempo stesso partecipa a vari concorsi indetti in Toscana vincendo anche considerevoli premi. Nel 1970 fonda la rassegna d’arte contemporanea “Vico Arte” tra gli altri espongono grandi artisti come Guttuso, Treccani, Maccari, Murer e Zancanaro. Negli anni Ottanta ha iniziato le esposizioni all’estero: a Rabat, in Marocco (1981), a Auverse sur Oise (1983), a Parigi (dal 1984 al 1988), a Reims (1986), in Svizzera (1987 e 1988), a Ginevra (dal 1988 al 1993), fino alle personali in Canada e in Giappone del 1985. Nel 1992, dopo varie mostre in tutta l’Italia, l’artista espose a San Francisco all’Istituto Italiano di Cultura. Da allora impressionato dai paesaggi selvaggi americani comincia a dipingere opere ispirate a questi luoghi. Oltre a quello dedicato al Gran Canyon, la sua produzione più recente si è caratterizzata per i quadri a cicli tematici dedicati a ‘Dei e Eroi’, ‘Alla luna’, ‘Perù’, ‘Oasi’ e ‘Parigi’. Nel 1995 ha affrescato la Cappella di San Michele in Colle Petroso a Radda in Chianti e nel 1996 la Cappella del Cimitero della Misericordia di Poggibonsi. Nel 1997 ha dipinto il drappellone per il Palio dell’Assunta di Siena. Decine le mostre in Italia e all’estero per tutti gli anni 2000, con affreschi realizzati in diversi edifici pubblici tra le province di Firenze e Siena.

Il 21 giugno è morta a Roma, a 75 anni, la poetessa Patrizia Cavalli. Nata a Todi nel 1947, la Cavalli era arrivata nella Città eterna poco più che ventenne. Aveva esordio nel 1974 con ‘Le mie poesie non cambieranno il mondo’, pubblicato da Einaudi, editore di quasi tutti i suoi libri, cui sono seguiti nell’81 è ‘Il cielo’ e ‘L’io singolare proprio mio’ del 1992, riuniti in ‘Poesie (1974-1992). Nel 2020 era entrata nella cinquina del Premio Campiello con ‘Passi giapponesi’ (Einaudi. Supercoralli), la sua prima raccolta di prose con potenti immagini e stati d’animo. Poetessa pura, della quale aveva riconosciuto il talento Elsa Morante, autrice di libri come ‘Pigre divinità e pigra sorte’ , ‘Datura’ la Cavalli aveva una grande passione per il teatro come testimonia ‘Sempre aperto teatro’ del 1999. La sua ultima raccolta di poesie pubblicata da Einaudi è Vita meravigliosa (Einaudi) uscita nel 2020.

Il 27 giugno è morto Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica e attuale presidente di EssilorLuxottica, l’imprenditore aveva 87 anni. E’ stato uno dei maggiori imprenditori italiani, fondatore e presidente di Luxottica che poi ha condotto alla fusione con la francese Essilor per creare EssiloLuxottica, un gruppo che oggi conta oltre 180mila dipendenti. Azionista tra l’altro di Mediobanca, Generali e Covivio, la sua ricchezza attraverso l’holding di famiglia Delfin quest’anno è stata valutata dalla rivista Forbes in circa 25 miliardi di euro.

Il 27 giugno è morto a Roma lo scrittore Raffaele La Capria: aveva 99 anni ed era una delle voci più significative della letteratura italiana del secondo ‘900. Nel 1961 aveva vinto il Premio Strega con “Ferito a morte”, ritratto di Napoli e di una generazione seguita con complessi sbalzi temporali lungo l’arco di un decennio. Ha ricevuto per la sua carriera il Premio Campiello (2001), il Premio Chiara (2002), il Premio Alabarda d’oro (2011) e il Premio Brancati (2012). Nel 2005 aveva vinto il Premio Viareggio per la raccolta di scritti memorialistici. “L’estro quotidiano”. Con la sua opera di narratore, La Capria ha raccontato i vizi e le virtù della sua Napoli, dove era nato il 3 ottobre 1922. Oltre che scrittore, La Capria è stato giornalista, collaboratore di diverse riviste e quotidiani tra cui “Il Mondo”, “Tempo presente” e il “Corriere della Sera” e dal 1990 era condirettore della rivista letteraria “Nuovi Argomenti”. Trascorse lunghi periodi in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, per poi stabilirsi a Roma. Ha collaborato con la Rai come autore di radiodrammi e ha scritto per il cinema, co-sceneggiando molti film di Francesco Rosi, tra i quali “Le mani sulla città” (1963) e “Uomini contro” (1970) ed ha collaborato con Lina Wertmüller alla sceneggiatura del film “Ferdinando e Carolina” (1999). È autore di numerosi romanzi, tra i quali “Un giorno d’impazienza” (1952), “Amore e psiche” (1973), “La neve del Vesuvio” (1988), “L’amorosa inchiesta” (2006); saggi, quali “Letteratura e salti mortali” (1990), “L’occhio di Napoli” (1994), “La mosca nella bottiglia” (1996), “Napolitan Graffiti” (1998), Lo stile dell’anatra (2001) e il saggio-intervista “Me visto da lui stesso. Interviste 1970-2001 sul mestiere di scrivere” (2002). Ha anche tradotto opere per il teatro di autori come Jean-Paul Sartre, Jean Cocteau, T. S. Eliot, George Orwell. Raffaele La Capria è stato sposato con l’attrice Ilaria Occhini, scomparsa il 20 luglio 2019, che era nipote dello scrittore Giovanni Papini. Dalla moglie ha avuto la figlia Alexandra La Capria, ex moglie di Francesco Venditti.

Il 29 giugno è morta Margaret Keane, la pittrice dei ‘grandi occhi’ A questa vicenda ha dedicato nel 2014 il film “Big Eyes” Tim Burton, grande ammiratore della pittrice di cui possiede una collezione di dipinti. Aveva 94 anni. All’inizio, peraltro, Margaret fu d’accordo sull’impostura, convinta che altrimenti, in quanto donna, non sarebbe mai riuscita a vendere le sue opere. Dopo 10 anni la coppia divorziò e Margaret portò Walter in tribunale e dopo una lunga battaglia giudiziaria fu attribuita l’autenticità dei dipinti solo alla pittrice. Le opere di Margaret divennero un vero e proprio fenomeno kitsch negli Stati Uniti negli anni ’60 grazie ai poster e alle cartoline vendute a milioni nei supermercati e dedicate ai suoi dipinti a olio di donne, bambini o animali che si distinguono per gli occhi enormi, spesso tristi. Attori di Hollywood come Joan Crawford, Natalie Wood e Jerry Lewis si fecero ritrarre dalla pittrice. Fu anche incaricata di dipingere John e Carolyn, i figli del presidente americano John F. Kennedy. I suoi dipinti di “Big Eyes” sono presenti in numerose istituzioni come il Museo delle Arti di Tokyo, il Contemporary Museum of Art delle Hawaii, il Triton Museum di San Josè, il Laguna Art Museum e il Brooks Memorial Museum in Tennessee.

Il 6 luglio Kazuki Takahashi, creatore dello storico manga Yu-Gi-Oh!, è stato ritrovato morto all’età di 60 anni. Il mangaka era nato a Tokyo il 4 ottobre del 1961 e aveva debuttato nel mondo del fumetto verso la fine degli anni ottanta con per poi raggiungere la popolarità con la creazione di Yu-Gi-Oh!. Il 6 luglio è stato trovato privo di vita su una spiaggia della città di Nago, a poca distanza da Okinawa, da alcuni ufficiali della Guardia costiera giapponese. La causa del decesso, confermata dall’autopsia, è quella di uno sfortunato incidente durante una sessione di snorkeling. Il giapponese al momento del ritrovamento indossava la tipica attrezzatura. Yu-Gi-Oh! iniziò ad essere pubblicato nel 1996 in Giappone sulla rivista “Weekly Shonen Jump” della casa editrice Shueisha. Quest’ultima molto conosciuta e promotrice di alcuni dei più grandi successi a livello mondiale, come Dragon Ball, One Piece, Naruto e appunto Yu-Gi-Oh! Nel corso degli anni Il manga è diventato un marchio di gran successo generando un vero e proprio impero composto da nuovi manga e serie anime, un gioco di carte collezionabili.Nel 2011 le stime parlavano di oltre 25,2 miliardi di carte in tutto il mondo.

L’8 luglio è morto l’ex Premier giapponese Shinzo Abe, aveva 57 anni. Ad ucciderlo un uomo di 41 anni, Tetsuya Yamagami, che avrebbe vendicato la madre rovinata economicamente da una setta religiosa promossa dallo stesso Premier. Inizia la sua carriera politica nel 1982 sempre in seno al Partito Liberal Democratico, che anche allora era al potere. Nel 1993 viene eletto per la prima volta come deputato. Fa parte della fazione Mori del partito, che un tempo era stata guidata da suo padre, morto nel 1991. Si tratta di fatto di una frangia più nazionalista. Nel 2005 viene nominato capo segretario di gabinetto sotto il primo ministro Junichiro Koizumi. Tra i compiti più importanti assegnatigli, la guida dei negoziati per il rimpatrio dei cittadini giapponesi rapiti in Corea del Nord. Lo stesso anno viene eletto capo dell’Ldp, in partito al governo. L’anno seguente diventa per la prima volta primo ministro del Giappone, supervisionando le riforme economiche e già mostrando le sue idee chiare rispetto ai vicini: Corea del Nord, Corea del Sud e Cina. Nel 2007 Abe si dimette da primo ministro dopo le pesanti sconfitte subite dal suo partito. Chiamerà in causa però dei problemi di salute, più precisamente una colite ulcerosa. La stessa che lo porterà alle definitive dimissioni nel 2020. Nel 2012, dopo essere stato nuovamente eletto presidente dell’Ldp, Abe diventa primo ministro per la seconda volta. Durante il suo mandato, impronta delle riforme economiche chiamate “Abenomics”, che prevedono prestiti facili e riforme strutturali. Inasprirà invece i rapporti con i succitati vicini asiatici, e, come vedremo meglio, cercherà di militarizzare ulteriormente il paese. Stringerà poi forti relazioni con gli Usa, diventando amico personale di Trump col quale gioca pure a Golf. Ottimi anche i rapporti commerciali con l’Australia, sempre in chiave anti-cinese. Dimessosi nel 2020, passa alla storia come il Primo Ministro giapponese più longevo della storia. Lascia l’incarico per il riacutizzarsi della colite ulcerosa, ma anche senza più incarichi istituzionali non manca di dare il suo supporto al partito liberaldemocratico, con stoccate anche alla Cina sul caso Taiwan.

L’11 luglio è morto nella notte all’età di 93 anni Angelo Guglielmi. Si è spento nel sonno. Storico direttore di Rai 3, lanciò programmi che hanno fatto la storia della rete e della tv pubblica, oltre che personaggi come Corrado Augias, Michele Santoro, Serena Dandini e Fabio Fazio. Oltre che dirigente, fu critico letterario, saggista e giornalista. Era nato ad Arona in provincia di Novara e dopo essersi laureato in lettere a Bologna nel 1951, vinse il concorso in Rai tre anni dopo. Sotto la sua guida, nel periodo che va da 1987 al 1994, nascono programmi cult come Telefono giallo, Samarcanda, Un giorno in pretura, La Tv delle ragazze, Blob, Chi l’ha visto?, Avanzi, Quelli che il calcio (passato nel 1998 su Rai 2), Tunnel e Storie maledette. Di Guglielmi fu anche l’idea di mettere in bianco e nero e fra virgolette rosse le annunciatrici dei programmi.

Il 12 luglio se n’è andato all’età di 81 anni Tony Binarelli, il mago protagonista indiscusso della tv anni ’90. Si è spento dopo una lunga malattia all’ospedale Pertini di Roma. Aveva 13 anni quando, durante un’estate funestata da una forte bronchite, aveva iniziato a coltivare la sua passione per la magia. Crescendo cambiò strada, prendendo il diploma di ragioniere e trovando lavoro presso una ditta automobilistica. Quella passione per la magia e i giochi di prestigio, però, non lo hanno mai lasciato e quello che lui considerava solo un hobby ha scavato profondamente, tanto che dopo 14 anni da impiegato lasciò tutto per seguire la sua passione. È cominciata così la sua lunga carriera artistica costellata di tanti successi e soddisfazioni. Binarelli con la sua magia ha illuminato i programmi di Corrado, Mike Bongiorno e Pippo Baudo e ha affascinato personaggi del calibro di Federico Fellini. Per 20 anni, il suo modo di fare garbato, la sua bravura e la grande passione per un mestiere che affascina tanto, lo hanno portato a diventare una star del piccolo schermo, protagonista di tanti programmi televisivi con i grandi della tv, fino a diventare una presenza fissa a Buona Domenica dal 1991 al 1995. Grande protagonista anche in Rai e in giro per l’Italia con il suo spettacolo che attirava folle di curiosi e vedeva sempre in prima fila i bambini, affascinati dal mondo dell’illusione. Il suo carisma non attirò solo gente comune, ma anche grandi nomi come il regista Federico Fellini. Tanti i suoi successi, ma anche grandi incontri ed episodi conosciuti da pochi. Come quando prestò le sue mani a Terence Hill nella scena del film …continuavano a chiamarlo Trinità, in cui mescolava le carte. Ma non fu il solo, le sue mani così veloci nel far scomparire e riapparire le cose le regalò anche a personaggi come Alain Delon. Accanto a lui sempre la moglie Marina, conosciuta quando aveva 19 anni e conquistata con uno dei suoi trucchi magici.

Il 13 luglio Mark Fleischman, ha fatto ricorso al suicidio assistito per porre fine a Zurigo alla sua esistenza. L’ex padrone del leggendario locale Studio 54 è morto ieri a 82 anni, ha confermato un ex socio d’affari, Dan Fitzgerald, postando l’sms della moglie Mimi. Fleischman aveva annunciato la decisione di suicidarsi in un’intervista il mese scorso al «New York Post». Aveva rivelato di avere una malattia neurologica degenerativa che gli impediva di camminare o vestirsi da solo, di aver tentato già un paio di volte di togliersi la vita con una overdose di sonniferi, ma che in entrambi i casi era stato salvato in ospedale. Era considerato il Re della Dolce vita newyorkese.

Il 14 luglio è morto Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, aveva 98 anni. Nato a Civitavecchia il 6 aprile del 1924, Scalfari è stato il primo direttore-manager dell’editoria italiana, padre di due ‘creature’, L’Espresso e Repubblica, nate dal nulla ma che in pochi anni non solo hanno raggiunto i vertici della diffusione e lasciato un’impronta indelebile. Dopo la giovinezza a Sanremo, dove al liceo classico ebbe come compagno di banco Italo Calvino, inizia a scrivere su alcune riviste fasciste, per venire poi espulso in quanto ritenuto un imboscato. Nei primi anni ’50 inizia con il Mondo di Pannunzio e l’Europeo di Arrigo Benedetti. Nel ’55 con quest’ultimo fonda L’Espresso, primo settimanale italiano d’inchiesta. Scalfari vi lavora nella doppia veste di direttore amministrativo e collaboratore per l’economia. E quando Benedetti gli lascia il timone nel ’62, diventa il primo direttore-manager italiano, una figura all’epoca assolutamente inedita per l’Italia. Questo doppio ruolo sarà poi anche uno dei fattori del successo di Repubblica. Negli ultimi anni dopo una lunghissima carriera al timone del giornale, si è dedicato soprattutto alla scrittura, anche con un autobiografia uscita per i suoi 90 anni nel 2014 allegata al quotidiano. Nel suo primo romanzo Il labirinto, uscito nel ’98, erano il rapporto tra sentimenti e ragione, il ruolo che il pensiero esercita nella quotidiana esistenza dell’uomo e il contrasto tra aspirazioni profonde e realtà i temi al centro della sua riflessione, sviluppata poi ancora in L’uomo che credeva in Dio, Per l’alto mare aperto, Scuote l’anima mia Eros, La passione dell’etica, L’amore, la sfida, il destino. A un suo intervento su fede e laicità, lui che da sempre si dichiara ateo, rispose papa Francesco, con una lettera a Repubblica pubblicata l’11 settembre del 2014. L’incontro diventa un libro nel 2019 Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Papa Francesco e il Cardinale Carlo Maria Martini.

Il 14 luglio è morta Ivana Trump. Aveva 73 anni. Imprenditrice, personaggio televisivo e modella, è rimasta legata a lui dal 1977 al 1992. Quindici anni di vita insieme, in cima, al massimo, protagonisti della società newyorkese degli anni ’80. Insieme, sempre più in alto come i palazzi a cui lavoravano. La Trump Taj Mahal ad Atlantic City, la Trump Tower sulla Quinta Strada a Manhattan che negli arredi interni porta la sua firma. Divenne vice presidente del design interno per la compagnia, il marito la volle a capo del Trump Castle Hotel and Casino come presidente. E dire che era partita da lontano, Ivana. Nata in Repubblica Ceca, il suo cognome era Zelníková. Una promessa dello sci, passione trasmessa dal papà. Poi fotomodella, poi un marito. Poi il primo divorzio. Poi l’America e Trump e i tre figli e, altri due mariti e altrettanti rapidi divorzi. Nel 1995, con l’imprenditore italoamericano Riccardo Mazzucchelli e, dopo la separazione nel 1997, dal 2008 con un altro italiano, Rossano Rubicondi. Già 59 anni lei, 36 lui. Il matrimonio più lussuoso e più veloce: 3 milioni di dollari, con 400 invitati, ospitato dall’ex marito Donald Trump nella sua tenuta di Mar a Lago, durato neanche sette mesi. Oggi era anche e forse soprattutto, nonna. Di 9 nipoti.

Sociologo, blogger, web writer. Amo il Cinema, l'Inter e ovviamente scrivere. La mail per contattarmi: [email protected] Ricevi le News su Telegram senza censure Le voci di dentro su Telegram Mostra altri articoli

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